Urologo morto a Viterbo - Per discutere delle cinque richieste di archiviazione avanzate dalla procura
di Stefania Moretti
 Attilio Manca, il medico trovato morto a Viterbo nel 2004 |
 La famiglia Manca. Da sinistra: il padre Gino, il fratello Gianluca e la madre Angela |
 Il procuratore capo Alberto Pazienti e il pm Renzo Petroselli alla conferenza indetta dopo la chiusura delle indagini |
 L'avvocato dei Manca, Fabio Repici |
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– Torna in aula la vicenda di Attilio Manca.
L’udienza per il caso del giovane urologo di Belcolle, trovato morto nel 2004, è fissata al 15 ottobre.
Servirà per discutere sulle cinque richieste di archiviazione avanzate dalla procura di Viterbo, nella persona del pm Renzo Petroselli.
Per il magistrato titolare dell’inchiesta c’è una sola persona responsabile, in qualche misura, della morte del medico: la romana Monica Mileti. L’unica dei dieci indagati iniziali che ha ricevuto, due mesi fa, l’avviso di conclusione delle indagini. Atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
Per la procura di Viterbo sarebbe stata lei a cedere ad Attilio l’eroina che gli è stata letale, la notte del 12 febbraio 2004.
Gli altri nove, secondo le indagini, non avrebbero contribuito in alcun modo a causarne la morte. La posizione di quattro di loro fu archiviata a dicembre 2011. Il gip del tribunale di Viterbo Salvatore Fanti dispose nuove indagini solo sugli altri sei: Ugo Manca, cugino dell’urologo, Lorenzo Mondello, Andrea Pirri, Angelo Porcino, presunto boss di spicco del clan dei Barcellonesi, Salvatore Fugazzotto e Monica Mileti. Lei romana, gli altri cinque tutti originari di Barcellona Pozzo di Gotto, città del Messinese in cui Attilio è cresciuto.
Alla procura il gip chiedeva di indagare su chi, tra loro, avesse fornito lo stupefacente a Manca. Alla fine, il cerchio si è stretto sulla Mileti, con cinque richieste di archiviazione per gli altri. Ma i familiari non ci stanno.
Gino, Angelina e Gianluca Manca, padre, madre e fratello di Attilio continuano a battere la “pista mafiosa”, sostenendo, cioè, che dietro la morte di Attilio ci sia l’ombra di Bernardo Provenzano. Tante le coincidenze. Il viaggio in Francia dell’urologo nello stesso periodo dell’operazione del boss alla prostata. Le siringhe dell’iniezione trovate senza impronte e col tappo salva-ago reinserito. Come se il pensiero di Attilio, dopo essersi iniettato la dose letale, potesse essere quello di cancellare le sue tracce o rimettere a posto le siringhe. E poi i buchi sul braccio sinistro, anche se Attilio era mancino. E le impronte in casa dell’urologo. Una attribuibile al cugino Ugo Manca, per il quale è stata chiesta l’archiviazione.
Ombre che la procura non vede. Perché quello di Manca non è un delitto di mafia lo hanno spiegato tanto il procuratore capo Alberto Pazienti quanto il pm Renzo Petroselli, nella conferenza dell’8 giugno scorso, dopo la chiusura delle indagini. Ma non hanno dissipato i dubbi dei familiari di Attilio, che si oppongono all’archiviazione e chiedono nuove indagini.
Il 15 ottobre parlerà il loro legale Fabio Repici, il pm Renzo Petroselli e poi, uno a uno, gli avvocati dei cinque. Improbabile che il gip decida subito. Quasi sicuramente prenderà del tempo. Quanto, non è dato sapere.
Stefania Moretti
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