(s.m.) – Appalti “vinti da un limitato numero di ditte”. In regime di “spartizione reciproca”. Con “un sistema di offerte preordinato”.
Il terremoto delle gare truccate parte da lontano. A scatenarlo è Domenico Chiavarino.
Sono le 16,40 del 5 novembre 2009 quando l’imprenditore si presenta in procura. E’ in carcere dal 30 settembre. Arrestato prima nell’operazione Dazio, su tangenti in cambio di autorizzazioni regionali. Poi nell’indagine Miniera d’oro, sulle cave abusive “mascherate” da bonifiche agrarie.
Il tornado “Genio e sregolatezza” nasce dalle sue parole. 25 righe di un interrogatorio di due ore, davanti ai pm Stefano D’Arma e Fabrizio Tucci, fanno aprire una nuova inchiesta, che porta a galla 26 presunte gare pilotate. Di quel sistema Chiavarino sa tutto.
“In merito agli appalti nel territorio del comune di Viterbo per il rifacimento dei manti stradali e per la realizzazione di opere pubbliche è noto come gli stessi siano stati generalmente vinti da un limitato numero di ditte – spiega Chiavarino -, tra le quali il Mancini, Chiavarino G., Gemma e altre”.
Mancini è Filippo Mancini, imprenditore edile indagato per corruzione in Genio e sregolatezza. Chiavarino G. è Gianfranco, fratello di Domenico, arrestato per due volte nella stessa inchiesta. E, infine, Gemma come Gemma Srl, società dell’imprenditore Roberto Tomassetti, finito anche lui in manette nell’appaltopoli viterbese.
Chiavarino descrive con dovizia di particolari il sistema di corruzione ben oliato, scoperchiato dalla forestale. Non sa che quella rivelazione lo porterà a troncare ogni rapporto col fratello. Né si aspetta di lanciare una bomba sull’imprenditoria locale, su alcuni amministratori e sul Genio civile.
“Sono a conoscenza del fatto che tra le imprese del Viterbese si è probabilmente venuto a creare una sorta di accomodamento e di spartizione reciproca degli appalti – racconta Chiavarino nel 2009 -, garantito da un sistema di offerte preordinato, in base al quale ciascuna ditta del territorio presenta, oltre alla propria, molte altre offerte (nell’ordine di parecchie decine) di ditte che, in realtà, non hanno alcuna seria intenzione di concorrere”.
Il meccanismo è infernale: “Si creano varie cordate – spiega ancora, Chiavarino, nel 2009 -, che presentano offerte con ribassi prestabiliti, mediante i quali eventuali ulteriori offerte, presentate da ditte che, come la mia, sono al di fuori di tale assetto, non hanno alcuna potenzialità di incidere sulla determinazione del ribasso d’asta predestinato all’aggiudicazione e, dunque, nessuna possibilità di aggiudicarsi l’appalto”.
La raffinata ingegneria di calcoli è affidata a “personaggi tecnicamente competenti”, afferma Chiavarino, “che fungono anche come garanti tra le singole imprese”. “Il più importante”, secondo l’imprenditore, “è tale Roberto Lanzi”, il funzionario del Genio civile, presunto deus ex machina di appaltopoli.
A presentarlo a Chiavarino fu “un consorziale, tale Marcello Rossi” (un altro degli arrestati di Genio e sregolatezza ndr), che avrebbe descritto Lanzi “come persona competente al fine di poterci garantire la vittoria di un certo numero di gare, in cambio di una percentuale”. Quella percentuale, i pm la chiamano tangente e, stando alle carte dell’inchiesta, Lanzi ne avrebbe intascata più di una per i suoi presunti consigli e servigi agli imprenditori.
Il funzionario, come gli altri dodici arrestati, attende il responso del gip Franca Marinelli, chiamata a pronunciarsi sulla valanga di istanze di scarcerazione delle difese. La decisione, attesa per ieri, a cinque giorni esatti dai primi interrogatori di garanzia, non è ancora arrivata.
I difensori, intanto, si appellano al Riesame. Il ricorso per l’assessore di Graffignano Luciano Cardoni è già pronto, così come quello per l’imprenditore Giuliano Bilancini. In giornata arriveranno anche quelli di Tomassetti e dell’altra funzionaria del Genio civile Gabriela Annesi.
Per la decisione del gip, ogni minuto è buono.
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