Viterbo – Sulla questione braccialetti elettronici, le difese non stanno a guardare.
A quasi una settimana dalla pronuncia del tribunale del Riesame, che disponeva domiciliari col braccialetto per cinque arrestati sui 31 del blitz antidroga Babele, gli indagati in questione restano in carcere e i loro avvocati Remigio Sicilia e Samuele De Santis scalpitano.
Lunedì mattina hanno presentato un’istanza al gip di Viterbo, per chiedere almeno gli arresti domiciliari senza braccialetto e con le tradizionali modalità di controllo (visite periodiche dei carabinieri a casa). Il pm Paola Conti, titolare dell’indagine sullo spaccio in centro storico che ha portato alla valanga di arresti, ha dato parere negativo. Ma la risposta del gip non è ancora arrivata.
I legali, nel frattempo, hanno tentato un’altra strada. E’ di ieri pomeriggio l’invio di una segnalazione al Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. All’autorità preposta alla sicurezza e alla tutela dei diritti dei detenuti, gli avvocati chiedono un “intervento immediato e urgente presso la concessionaria del servizio”: Telecom Spa.
E’ il gestore telefonico a dover provvedere all’installazione dei braccialetti. Si tratta di cavigliere che tramite una videocamera e un dispositivo in grado di inviare segnali gps, monitorano i movimenti dell’arrestato, comunicando con la caserma più vicina. Ma a Viterbo l’adozione di questa modalità di controllo non è ancora rodata.
“Ci hanno detto che forse dovremo aspettare venerdì per l’arrivo dei tecnici – afferma l’avvocato De Santis -. Significa far passare una settimana in più in carcere ai nostri assistiti. Al Garante chiediamo di verificare se la procedura tecnica di attivazione dei braccialetti sia partita e di accertare le ragioni di questo ritardo”.
Tra gli altri, De Santis difende Rodolfo Feliz Castillo. Uno dei volti più noti tra gli arrestati del blitz “Babele”: gioca da anni nella squadra di baseball di Viterbo ed è tra i cinque che il Riesame vuole ai domiciliari col braccialetto. Ma per gli inquirenti, Castillo è soprattutto tra i dominicani “gestori” dello spaccio in centro storico, specie in zona San Faustino-via Cairoli, mentre San Pellegrino sarebbe stato appannaggio dei tunisini. Da qui il nome “Babele”: dalla “Babele” di etnie coinvolte nello smercio di cocaina, eroina, marijuana e hashish nel cuore della città. Dominicani e tunisini, ma anche 16 italiani, di cui 15 viterbesi.
Sul problema dei braccialetti e della mancata uscita dal carcere, le difese andranno avanti. Dopo il Garante, stanno pensando al ricorso in Cassazione. Ma non finisce qui. “Se non troveremo chi sarà disposto ad ascoltarci – annuncia De Santis -, andremo fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo”.
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