Viterbo – Aymen Melki si chiama fuori.
Il trentenne tunisino arrestato venerdì sostiene di non avere nulla a che fare con lo spaccio a cielo aperto in centro storico emerso dal blitz Babale.
Questo avrebbe detto rispondendo alle domande del gip Franca Marinelli, stamattina in carcere. Un colloquio di pochi minuti. Un quarto d’ora appena. Alle 12,45 l’interrogatorio di garanzia era già finito.
E’ Melki l’ultimo uomo dell’operazione Babele. Per lui, le manette sono scattate venerdì. Secondo la difesa, Melki si è recato spontaneamente in caserma. “Era latitante, nel senso che carabinieri e finanza non lo hanno trovato al momento del blitz. Ma solo perché già da un mese era andato a trovare i suoi parenti in Tunisia, non è scappato appositamente”, spiega il suo avvocato Remigio Sicilia.
Al trentenne sarebbero contestati un paio di episodi di spaccio del tutto marginali, a dire del suo legale che, stamattina, dopo il breve colloquio con gip, ha presentato un’istanza di scarcerazione. La richiesta sarà vagliata dal pm Paola Conti, per un parere, prima della decisione del giudice per le indagini preliminari.
L’indagine
La maxiretata dell’arma e delle fiamme gialle risale a primavera. All’alba del 19 maggio, furono arrestate 30 persone delle 32 per le quali il tribunale di Viterbo aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare. All’appello mancavano solo Aymen Melki e il dominicano Alexander Guerrero Rodriguez, detto “Melassa”, fuggito in Svizzera. Le manette sono scattate per entrambi appena tornati in Italia.
L’indagine, interamente incentrata sul traffico di droga in centro storico, parte a inizio 2013. Il 5 gennaio due giovani albanesi finiscono in manette: i carabinieri li trovano con un etto di hashish in casa. Loro dicono che è per una festa di compleanno. Patteggiano e tornano liberi. Sono i loro contatti telefonici con la connazionale Ana Roko a insospettire i carabinieri. Su di lei indaga anche la finanza. E’ chiamata “dama bianca” per la sua capacità di importare ingenti carichi di cocaina a Viterbo, grazie a una fitta rete di fornitori. La squadra mobile la arresta nella primavera del 2013.
Per il nucleo investigativo di Giovanni Martufi e la tributaria di Domenico Costagliola inizia l’indagine congiunta, sotto la guida del pm Paola Conti. Un viaggio nella Babele del centro storico, frazionata in quelle che il gip chiama “bande”, con i tunisini a San Pellegrino e i dominicani a San Faustino e via Cairoli. Sovrapponibili ai due gruppi, una quindicina di italiani, quasi tutti viterbesi. Ma erano i dominicani, secondo gli inquirenti, a movimentare le maggiori quantità di stupefacenti.
Molti indagati hanno patteggiato. Per altri undici sarà giudizio immediato: processo subito, senza udienza preliminare. Salvo richieste di riti abbreviati o patteggiamenti.
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