Viterbo – “Ho lasciato una clinica in attivo con pazienti e molti soldi da incassare”.
Gianfranco Fiorita, il dentista scappato il 14 ottobre del 2010 e tornato solo dopo quasi quattro anni a Viterbo, dice la sua in tribunale dove dal 2012 è imputato in un processo per appropriazione indebita. A testa alta e con pacco di documenti sotto braccio ha spiegato punto per punto la sua versione, in più di un’ora di monologo.
Il contenuto della lunga dichiarazione spontanea del professionista è stato, sostanzialmente, lo stesso di quanto già anticipato in una conferenza stampa nello studio del suo avvocato Roberto Alabiso lo scorso 10 febbraio. Ora, però, tutto rimane a verbale ed entra a far parte degli atti a disposizione del giudice.
“Finalmente ho la possibilità di parlare – ha esordito Fiorita . Sono tornato a Viterbo proprio per fare chiarezza. Nell’ottobre del 2010 mi sono allontanato perché ero vittima di pressioni estorsive. Come posso dimostrare producendo il testo delle mail che ho ricevuto, c’era una persona che diceva di avere sotto controllo tutti i miei spostamenti e mi stava alle calcagna affinché pagassi somme profumate. Ero braccato. Assurdo, invece, che la polizia che indagava su di me non aveva la minima idea di dove fossi. Eppure sarebbe bastato così poco a scoprirlo…”
Il dentista, secondo la sua versione, non avrebbe pianificato alcuna fuga. Ma, al contrario, sarebbe stato costretto a scappare. Di corsa.
“Ho comprato il primo volo per Barcellona a Fiumicino lo stesso giorno che sono partito – continua – avevo in tasca poco più di 700 euro, altro che i 620mila che la procura di accusa di aver portato via. Dopo qualche giorno in Spagna sono partito per la Bolivia e infine per il Paraguay dove sono rimasto per tutto questo tempo insieme alla mia compagna e ai miei due figli minorenni”.
Nessuna vita da nababbo, nessun viaggio di piacere, nessuna ricchezza.
“Ho vissuto mesi e mesi di indigenza – prosegue Fiorita -. Per fortuna ho potuto contare sull’aiuto delle congregazioni religiose, altrimenti chissà che fine avrei fatto. Sono scappato solo per sopravvivere”.
In Italia, invece, restava la Dental Action snc, la società creata dal dentista che, a suo dire, non era per niente in difficoltà.
“Non ho truffato proprio nessuno – ci tiene a precisare -. Tutti i finanziamenti che ho fatto accendere ai miei clienti erano una forma regolarissima di pagamento di prestazioni sanitarie che, anzi, davano la possibilità alle persone meno abbienti di permettersi cure sofisticate pagandole a rate. Non ho mai minacciato nessuno di sottoscriverle, né tantomeno ho forzato i soci ad entrare in affari in con me”.
E proprio i soci, o meglio gli ex soci, per il dentista avrebbero gran parte della responsabilità sulla fine che la Dental Action ha fatto.
“Quando me ne sono andato – sottolinea – non ho portato via nulla. Ho lasciato una clinica in attivo con pazienti e molti soldi da incassare, circa 97mila euro. I soci, al contrario di quanto hanno testimoniato, avevano accesso all’elenco dei pazienti, avevano le chiavi della sede e tutta la documentazione sotto mano che, in mia assenza è sparita, come è sparita gran parte dell’attrezzatura che ho lasciato del valore di circa 130mila euro. Perché hanno chiuso lo studio? Chi, a questo punto, ha messo in atto un’appropriazione indebita? Spiegatemelo…”.
I conti, poi, a Gianfranco Fiorita proprio non tornano.
“Gli inquirenti hanno fatto la somma semplice delle somme che avrei portato via – conclude Fiorita -. Da lì sono usciti fuori questi fantomatici 620mila euro. Ma da lì ci sono da togliere tantissimi soldi. Io spendevo almeno 22mila euro al mese tra leasing dell’attrezzatura, dipendenti e tasse. Se si facesse la precisa differenza tra le entrate e le uscite, ne verrebbe fuori una somma irrisoria. Qui gli unici con i quali mi scuso e ai quali spetterebbe qualcosa sono una parte dei miei pazienti”.
Una versione che cozza completamente con quella degli ex soci del dentista, presenti anch’essi in aula oggi.
Due di loro sono stati chiamati dal giudice a testimoniare di nuovo per tornare più nel dettaglio su alcuni argomenti non affrontati durante il primo ascolto in tribunale. Loro hanno spiegato di aver chiuso la Dental Action alcuni giorni dopo la scomparsa di Fiorita perché non avevano altre soluzioni.
“Non potevamo mettere mano ai conti – hanno detto -. I clienti se la prendevano con noi che avevamo appena iniziato a lavorare ma non avevamo le competenze di continuare i lavori. Non avevamo alcun rapporto con i creditori e anche le attrezzature erano tutte a nome suo, alcune delle quali ancora da finire di pagare”.
Il processo, nel quale sono coinvolte 79 parti offese, 61 delle quali costituitesi parte civile, è ormai agli sgoccioli. Nella prossima udienza, in calendario per i primi di giugno, verrà ascoltata l’ultima testimone e l’imputato verrà sottoposto all’interrogatorio di accusa e difesa. Poi non resterà che la discussione.
Francesca Buzzi
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