Viterbo - La difesa lo aveva chiesto all'ultima udienza - Il giudice: "Avanti col processo"
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 Attilio Manca |
 Angela e Gianluca Manca, madre e fratello del medico, con il loro avvocato Antonio Ingroia |
Viterbo – Chiesto il proscioglimento per Monica Mileti.
Il processo alla cinquantenne romana, accusata di aver dato al medico Attilio Manca la dose di eroina che lo stroncò nel 2004, ha rischiato di chiudersi ieri con una sentenza di prescrizione.
Lo aveva chiesto la difesa dell’imputata, in base al capo di imputazione generico perché formulato prima del restyling normativo in materia di stupefacenti e, in particolare, prima che fosse introdotta la distinzione tra spaccio grave o lieve. Una questione di forma, ma anche di sostanza.
Monica Mileti è a processo per spaccio: articolo 73 del testo unico sulla droga. Ma l’accusa non ha specificato né la quantità dello stupefacente, né se si tratta di un’ipotesi grave o lieve perché, al tempo, non era richiesto.
Il destino del processo è tutto in questa forbice. Se il giudice Silvia Mattei deciderà che l’accusa è lieve (quinto comma dell’articolo 73), il reato, risalente al 2004, è palesemente prescritto fin da ora. Al contrario, se ricadesse tra i casi gravi (primo comma dell’articolo 73), si prescriverebbe in più di vent’anni.
Il giudice Mattei vuole andare fino in fondo: il processo si farà proprio per accertare in aula se si è trattato di spaccio di lieve o grave entità. “La quantità dello stupefacente è solo uno dei parametri possibili da considerare”, ha detto il magistrato in aula, respingendo la richiesta della difesa sul proscioglimento. Un altro parametro è quello delle ‘circostanze’ in cui il fatto è maturato: quell’iniezione di eroina mista a Tranquirit uccise il medico a soli 35 anni, il 12 febbraio 2004. Fu trovato morto nell’appartamento di Viterbo in cui abitava, zona Santa Maria della Grotticella; Manca, di origini siciliane, lavorava come urologo all’ospedale Belcolle.
I familiari non hanno dubbi: per loro, Attilio è stato eliminato dopo aver visitato e curato il boss della mafia Bernardo Provenzano. Una tesi che, finora, non ha trovato conferma nelle aule di giustizia, ma ne è convinto il pentito Carmelo D’Amico, secondo il quale Manca sarebbe stato ucciso da un ufficiale dei servizi proprio per aver visitato ‘il capo dei capi’.
L’unico procedimento penale aperto, al momento, è a carico di Monica Mileti. Un processo-farsa, lo hanno più volte definito i familiari di Manca che, da sempre, battono la pista del delitto di mafia. I loro avvocati Antonio Ingroia e Fabio Repici hanno depositato un esposto alla procura nazionale antimafia per sollecitare la riapertura del caso.
Intanto, ieri mattina, il processo a Viterbo è ricominciato da capo, dopo l’assegnazione del fascicolo al nuovo giudice. Finora erano stati ascoltati solo due testimoni (tra cui l’ex capo della squadra mobile viterbese Salvatore Gava), che dovranno tornare in aula per confermare le loro dichiarazioni. Il giudice ha fissato un calendario di quattro udienze, dal 4 novembre 2016 al primo febbraio 2017. In teoria, il giorno della sentenza.
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