Caso Manca - Ingroia prosciolto per calunnia - L'ex pm: "Imputato per aver difeso verità e giustizia"
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 L’avvocato dei Manca Antonio Ingroia |
 Ingroia e il suo avvocato Fabio Repici – Entrambi assistono i familiari di Attilio Manca |
 Attilio Manca |
Viterbo – (s.m.) – “Ho assunto per la prima volta nella mia vita la qualifica di imputato. E lo rivendico, perché era per un diritto di opinione e per una causa giusta”.
Antonio Ingroia commenta così il non luogo a procedere per calunnia a danno dell’ex capo della squadra mobile di Viterbo Salvatore Gava.
La decisione del gup Savina Poli è arrivata stamattina: Ingroia è stato prosciolto perché il fatto non costituisce reato. Una “prove manomessa e falsificata”: tale era, per l’ex pm, l’informativa in cui Gava scriveva che Attilio Manca, il medico trovato morto nel 2004, era in servizio a Belcolle nei giorni in cui Provenzano veniva operato a Marsiglia. Il che non risulta dai fogli di presenza dell’ospedale Belcolle in cui Manca lavorava come urologo, prima di morire nel febbraio 2004.
Ingroia parlava nelle vesti di avvocato di parte civile della famiglia Manca, insieme al collega Fabio Repici, oggi suo difensore dall’accusa di calunnia, formulata dal pm Renzo Petroselli. “Ho semplicemente difeso le ragioni di verità e giustizia contro le ragioni di stato che hanno imposto l’insabbiamento del delitto Manca – afferma Ingroia – Nient’altro. Posso finalmente dire che non ci sono giudici solo a Berlino, ma anche a Viterbo”.
Il pm Petroselli lo aveva iscritto nel registro degli indagati e ne chiedeva il rinvio a giudizio. Oggi il collega Stefano D’Arma ne ha chiesto il proscioglimento, sul presupposto che Ingroia ha rappresentato un suo giudizio e non una circostanza di fatto. “Ha solo commentato gli atti – ha ribadito il difensore Fabio Repici -. Criticare un’informativa è doveroso e ragionevole. Per noi, è stata scritta una pagina triste della giustizia indagando Ingroia, perché parliamo di un avvocato incriminato per le sue dichiarazioni in udienza. Tanto per sfregiare la voglia di verità di una famiglia”.
In particolare, nell’informativa di Gava era scritto che Manca era di turno all’ospedale viterbese nei giorni dell’operazione di Provenzano in Francia. Ma dai fogli di presenza di Belcolle risulterebbe che il medico non era a lavoro né il 25, né il 26 ottobre e che il 30 aveva staccato prima del solito.
Per Ingroia, Manca si sarebbe assentato anche in altre date. Per esempio per quasi tutti i mesi di luglio e novembre 2003. Periodi ipoteticamente sovrapponibili a quelli in cui il capo della mafia Bernardo Provenzano si trovava in Costa Azzurra per l’intervento. Il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, nell’aprile 2014, escluse la presenza di Manca nel pool di chirurghi che operarono il boss. Ma da allora più di un collaboratore di giustizia ha fatto rivelazioni sulla morte del giovane urologo negli interrogatori davanti ai pm. L’ultimo è il pentito Carmelo D’Amico, secondo il quale Manca sarebbe stato ucciso da un ufficiale dei servizi segreti, dissimulando l’omicidio con l’overdose da eroina. L’avvocato Repici ha fornito al giudice il verbale di interrogatorio di D’Amico. Elementi nuovi, che potrebbero riaccendere i riflettori della procura nazionale antimafia.
“E’ mia intenzione investirla del caso – dichiara Ingroia – per coordinare le due procure che, attualmente, se ne stanno occupando: la procura di Messina e la procura distrettuale di Roma, alla quale avevamo presentato un esposto un anno fa. La mia impressione è che ci si stia muovendo con velocità diverse: più spediti a Messina, più pacati a Roma. Per questo vorrei che la procura nazionale antimafia se ne interessasse, esercitando un ruolo di coordinamento”.
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