Terremoto nel centro Italia - Viterbo - Enzo Desideri, scampato con la moglie Lina all'inferno di Amatrice, racconta i terribili momenti vissuti sotto le macerie e il dramma che ha sconvolto un intero paese
di Giuseppe Ferlicca
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 Don Emanuele con Enzo e Lina Meucci |
 Lina Meucci ed Enzo Desideri  Enzo Desideri nei panni di Caifa durante la rappresentazione del Venerdì santo  Terremoto – Amatrice  Terremoto – Amatrice |
Viterbo – “Siamo vivi per miracolo”. Scampati al devastante terremoto di Amatrice, Enzo Desideri e la moglie Lina sono rimasti sotto le macerie per ore. Ma ce l’hanno fatta e oggi sono a Viterbo. Li ha chiamati per salutarli anche il vescovo Fumagalli. La paura, ma anche la gratitudine per chi li ha soccorsi, nelle parole di Enzo. Che non riesce a trattenere le lacrime ricordando i bambini morti, chiusi nei sacchi. E i suoi amici che non ci sono più.
“Siamo vivi per miracolo, per chi crede e ha fede. Sono miracoli – dice Enzo Desideri -. Qualcuno può chiamarlo destino. È stato allucinante anche se è un’esperienza, grazie a Dio, durata solo una giornata. Che non finirà mai”.
Cosa ricorda della prima scossa di terremoto?
“Noi dormivamo tranquilli in casa. Io sono nato ad Amatrice. Ho una casa. Mia madre la sistemò e ora non c’è più niente, tutto crollato. Un ammasso di macerie e nient’altro”.
Completamente distrutta?
“Tutta. Tutta distrutta. Non si recupera più niente. Perché le scosse sono state tremende. Lunghe. Non finivano mai. Poi quel rumore. Terribile. Io e mia moglie siamo ancora scossi”.
Cos’è successo dopo?
“Avevamo questa grossa bombola d’ossigeno. Sono un po’ dipendente dall’ossigeno. Il terremoto è stato prima sussultorio e poi ondulatorio. La bombola si è incastrata fra il letto e un grosso armadio, pesantissimo, che ci stava crollando addosso. Lo ha trattenuto, facendolo restare leggermente inclinato. In questo modo ha retto una piccola sezione del tetto, evitando che crollasse. Sotto questa piccola sezione c’eravamo io e mia moglie. Vedevamo grossi travi, tipici delle case di una volta. Avevamo mattoni a 40 centimetri dalla testa. E questo sciame lungo che continuava”.
Cos’ha pensato in quei momenti?
“Io ero convinto che non sarei riuscito a venirne fuori, che non sarei più tornato a casa. Mi dispiaceva. Non avrei più visto i miei figli, i miei nipoti, la mia casa. Io non ce la facevo più, svenivo. Senza ossigeno era una cosa impossibile, con tutta la polvere che ti arriva in bocca, quest’odore strano. Di gas. E un rumore che arrivava dal profondo, la terra che ogni volta tremava, facendo scivolare il tetto e detriti. Poi pezzi di mattoni che cadevano. Il nostro pavimento si è abbassato di cinquanta centimetri. Una paura durata tre ore”.
Chi vi ha salvato?
“Sono riusciti a tirarci fuori dopo le 6,30. Più di tre ore lì sotto. Siamo stati soccorsi da volontari. Padre e figlio che abitano di fronte a noi. Sono riusciti a entrare, si sono arrampicati su montagne di detriti. Ci hanno sentito”.
Avete potuto chiedere aiuto?
“Il mio telefono era rimasto in cucina, mia moglie aveva portato il suo in camera e ha potuto chiamare mia figlia che era già pronta per partire, avendo sentito anche a Viterbo il terremoto. Poi ha avvertito i soccorsi. Sono riusciti a entrare. C’erano un poliziotto della stradale, un uomo dalla forza eccezionale, e una donna favolosa, in gamba, energica. Siamo venuti fuori così com’eravamo. Io in pigiama, mia moglie in camicia da notte. Lei aveva trovato due pantofole sinistre. Una di un colore e una di un altro. Io sono uscito scalzo. Mi sono ferito scavalcando le pietre”.
Uscire non è stato semplice.
“Mi hanno messo sull’anta di un’armadio. Una barella improvvisata. Siamo passati da una specie di garage e dal soffitto crollato di un’altra abitazione. Attraverso una finestra ci siamo ritrovati al corso. Davanti avevamo un lampione. Ce lo siamo trovati davanti. Quanti metri è alto un lampione? Eravamo lì sopra. A quell’altezza. Davanti alla chiesa di sant’Agostino arrivavano le ambulanze e da lì ci hanno portati alla postazione di soccorso al palazzetto dello sport di Amatrice”.
Lì vi hanno assistito.
“Sì. Con dottori bravi, gente impagabile. Tanti giovani volontari. Una cosa splendida”.
Di quella ore che cosa ricorda? Del dopo terremoto cosa le è rimasto impresso?
“Fa star male vedere tutti quei bambini morti dentro i sacchi. Non ha idea di cosa significhi. Io non ho più amici. Sono tutti morti. Questo vigliacco terremoto ti prende di notte, quando non lo sai, non te lo aspetti. Sei inerme. Senza difese. Fa schifo. Non si saprà mai quanti sono morti. Anche perché, domenica avrebbe dovuto esserci la sagra degli spaghetti all’amatriciana e il giorno prima c’era una festa dei migliori borghi d’Italia, di cui Amatrice fa parte. In ogni piazza presentavano prodotti diversi da tutta Italia. Era pieno zeppo di gente. Non c’era un posto libero in alberghi, bed and breakfast e nelle case private che affittavano”.
Come state oggi, lei e sua moglie?
“Mia moglie mi aveva già comprato il regalo di compleanno, è rimasto sotto le macerie. Con tutto il resto. Pazienza. L’importante è aver salvato la vita. Lei ancora regge, ma sta esaurendo la sua adrenalina. È una donna molto forte, eccezionale, senza di lei io sarei morto. Io sono scosso. Tutti e due appena sentiamo un rumore, una porta che sbatte, un rumore fuori della norma, ci spaventiamo. Ma piano piano supereremo anche questo trauma. Ci vorrà tempo, abbiamo superato tante di quelle prove e tante difficoltà nella vita. Supereremo insieme anche questa, dopo 47 anni di matrimonio”.
Giuseppe Ferlicca
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