Viterbo – “Non dovevano essere affidati servizi ai soci privati senza gara”, ha ribadito a distanza di quattro anni dalla prima volta il superteste dell’accusa parlando della gestione del Cev finita nel mirino della procura. Si parla degli anni tra il 2004 e il 2008. In tribunale è tornato di scena quel che resta del maxiprocesso Cev, partito con 37 imputati e ridotto a un processo per soli 7 imputati dopo l’ultima ondata di prescrizioni.
Udienza (quasi) piatta quella di ieri, durante la quale sono stati riascoltati sette testimoni, che si sono limitati a confermare quanto dichiarato in passato. Qualche sussulto quando è stato sentito l’ex dg del Comune di Pesaro, Giovanni Rubini, considerato un teste chiave dall’accusa in quanto consulente tecnico di Palazzo dei Priori nella riorganizzazione dei servizi pubblici attraverso le società partecipate. La prima volta fu sentito nel marzo 2013.
Un teste pesante. “L’obiettivo della società partecipata era ottenere un vantaggio economico e una gestione più efficiente dei servizi”, ha spiegato. Ha confermato che erano ammesse società miste anche con soci operativi. Poi però ha ribadito: “Erano soci portatori di know how, per dare un contributo tecnico alla società. La parte privata nelle società miste non è per l’esecuzione di lavori affidati direttamente. Per gli affidamenti , i soci privati dovevano partecipare a gare ad evidenza pubblica come tutti gli altri”. Al centro gli appalti pubblici affidati senza gara agli imprenditori in società col Cev. Secondo i pm Conti e Pacifici un escamotage per favorire le ditte amiche, annullando la concorrenza. Al manager spetta un piccolo record. Quando fu convocato la prima volta, nel 2013, preferì l’insediamento del nuovo pontefice al processo e il collegio lo multò.
La novità è la bocciatura da parte del collegio della richiesta dei pm Paola Conti e Franco Pacifici. I pm, approfittando dell’azzeramento del processo e della riammissione delle prove, hanno chiesto di integrare le proprie liste testimoniali con gli ex coimputati dei sette rimasti a giudizio. Una mossa strategica dopo il passaggio in giudicato delle rispettive prescrizioni, per poterli sentire in aula, come testi assistiti, ma senza potersi avvalere della facoltà di non rispondere. Obiettivo, dimostrare che ci fu l’associazione per delinquere. Il collegio, per motivi squisitamente tecnici, ha però rigettato la richiesta, contro la quale si erano opposte strenuamente le difese. Ma per l’accusa il bicchiere resta mezzo pieno. Il collegio, infatti, si è riservato di citare gli eventuali coimputati ex articolo 507 al termine dell’istruttoria, se lo riterrà necessario.
Davanti al collegio presieduto dal giudice Silvia Mattei restano l’ex sindaco Giancarlo Gabbianelli, l’ex supermanager Armando Balducci, il big dell’imprenditoria Amedeo Orsolini, Attilio Moretti, Mauro Di Stefano, accusati di essere i promotori della presunta associazione per delinquere. E l’ingegnere Claudio Ciucciarelli, da ieri accusato solo di concussione ai danni dell’imprenditore Claudio Londero, dopo che è stata dichiarata estinta per prescrizione l’accusa di corruzione in concorso per la vicenda dei pannelli fotovoltaici delle scuole comunali. Londero è l’unico privato che si sia costituito parte civile. Le altre sono lo stesso Cev e il Comune di Viterbo.
Fu proprio Londero a dire che Ciucciarelli, obbligandolo a un lavoro a perdere”, gli avrebbe fatto installare pannelli fotovoltaici sulle scuole comunali, lanciando accuse pesantissime: “Dovetti emettere alla ditta fornitrice una fattura falsa da 38.400 euro: a me lasciò l’Iva, per sé tenne 32mila euro, che si fece dare in più tranche in contanti. Quando gli diedi l’ultima parte mi disse che erano per le ferie dei politici”.
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