Viterbo – Le macchie di sangue sulle pareti della cucina, visibili anche a occhio nudo. Ermanno Fieno avrebbe provato a cancellarle, ma in quella casa mancava l’acqua da almeno due mesi. Vicino al tavolo da pranzo Rosa Rita Franceschini, la mamma, sarebbe stata uccisa, colpita ripetutamente alla testa mentre era di spalle. E’ uno dei particolari emersi dall’esame autoptico eseguito venerdì all’obitorio di san Lazzaro.
Il medico legale ha analizzato anche il cadavere di Gianfranco Fieno, marito di Rosa Rita (71 anni). Ma i dubbi sul delitto di santa Lucia non verranno sciolti prima di sessanta giorni, quando i quesiti posti dalla magistratura troveranno finalmente una risposta. A partire dalla data della morte dei due coniugi, fino ad arrivare alle cause del decesso. Soprattutto quelle di Gianfranco, sul cui corpo non sarebbero stati trovati segni di violenza. L’ottantatreenne potrebbe essere morto per cause naturali, ore o addirittura giorni prima della moglie.
Multimedia: video: I vicini – video: La polizia al lavoro – video – Il fermo di Ermanno Fieno – I rilievi delle forze dell’ordine – Coppia uccisa in casa – Tragedia in via Santa Lucia
La richiesta d’aiuto
Sono i vicini dei coniugi Fieno i primi a rendersi conto che Gianfranco e Rosa Rita non si vedono più da giorni. A differenza di Ermanno, il figlio 44enne che viveva con loro, notato nel quartiere fino a qualche ore prima il ritrovamento dei cadaveri. È Sandro, il fratello dell’ottantatreenne, il primo a essere allertato. Chiama poi Anna Maria, la nipote, che a sua volta contatta Ermanno. Sono le 20e30 di mercoledì, e lui non è a casa. “Non riesco a parlare con mamma e papà, dove sono?”. “Ricoverati in una clinica per anziani, a Roma”. “Ma che stai dicendo? Se non mi spieghi chiamo la polizia…”. Ma Ermanno riaggancia, e si precipita nell’appartamento dei genitori. Quando arriva, Anna Maria è già lì. Non riesce a entrare in casa. Come non riesce a entrare Luciano, l’altro fratello. La serratura è stata cambiata. Chiamano i vigili del fuoco, ed è al loro arrivo che il 44enne, rimasto nascosto, inizia la sua fuga. Sono le 21.
Il macabro ritrovamento
Nessuno sospetta la tragedia. I vigili del fuoco decidono di entrare in quell’appartamento al secondo piano del civico 26 di via santa Lucia dalla camera matrimoniale. La tapparella è completamente abbassata, ma la finestra pare aperta. Solo quando sfondano l’avvolgibile fanno la macabra scoperta. Gianfranco e Rosa Rita sono morti. Lui è disteso sul letto. Lei è ai suoi piedi, a terra, con la testa appoggiata su un plaid ripiegato più volte. Entrambi sono perfettamente avvolti in delle pellicole da imballaggio, tenute insieme da dello scotch da pacchi. Ermanno voleva disfarsi dei cadaveri? È possibile. Ma ciò che è certo è che così ne stava ritardando la decomposizione.
Sui comodini anche dei deodoranti per ambienti temporizzati, che entravano automaticamente in funzione ogni quindici minuti.
Il cranio fracassato
In via santa Lucia si precipitano le volanti della polizia, ma sono gli agenti della scientifica i primi a entrare nell’appartamento. La scena va cristallizzata, per evitare un eventuale inquinamento delle prove. Con l’arrivo del magistrato e del medico legale viene tagliato il cellophane che avvolge i cadaveri. Gli inquirenti trovano Gianfranco con un vestito nero addosso e le scarpe ai piedi. Le mani incrociate sul petto, e il corpo in via di decomposizione. Rosa Rita è invece scalza, e ha il cranio fracassato. Uccisa da una raffica di colpi inferti con un attizzatoio di ferro, che gli investigatori hanno sequestrato dopo averlo ritrovato accanto al camino nel salone.
La fuga del figlio
È all’arrivo dei vigili del fuoco che Ermanno decide di scappare. Fugge a piedi. Non ha un’auto, e la bici elettrica con cui spesso si sposta è nel garage. Ma ha un obiettivo. Lasciare Viterbo il prima possibile. Ed è dalla stazione di porta Fiorentina o dal capolinea degli autobus al Riello che parte per raggiungere Roma. La caccia all’uomo scatta subito, con i poliziotti che lo cercano ovunque. Anche in un lussuoso albergo del capoluogo, dove Ermanno avrebbe soggiornato a inizio dicembre.
Come dalla Capitale sia arrivato a Voghera e poi a Ventimiglia è ancora un mistero. Ciò che è certo è che gli inquirenti escludono che sia stato aiutato durante la fuga. Quando venerdì mattina la polizia di frontiera del comune ligure lo individua e lo ammanetta dando esito al fermo emesso dalla procura di Viterbo, lo trova in possesso di 750 euro in contanti, una carta bancomat intestata al padre, uno zainetto, camicie e calzini appena acquistati, e un biglietto del treno per Mentone, in Francia. Nessuna traccia invece del telefono cellulare, che è sempre risultato spento e di cui molto probabilmente se ne è disfatto.
È un mistero anche il prosieguo della fuga. Una volta varcato il confine, Ermanno sarebbe rimasto in Francia o avrebbe continuato a scappare? Magari imbarcandosi dal porto di Mentone per tentare di raggiungere una capitale europea? Domande a cui potrà rispondere solo lui, che ieri è comparso davanti al pubblico ministero nel carcere di Imperia, dove è detenuto. Convalidato il fermo, si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del magistrato.
Gli interrogatori
Mentre Ermanno è in fuga, gli inquirenti ascoltano come persone informate sui fatti il fratello Luciano e la sorella Anna Maria. La fidanzata, amici, parenti e conoscenti. Per tentare di ricostruire le ultime ore di vita di Gianfranco e Rosa Rita, e per tentare di prevedere i movimenti del 44enne. Ma anche per cercare di capire il perché del presunto omicidio. Molto probabilmente per ragioni economiche, legate alla pensione del padre o all’eredità.
Ma tra le persone ascoltate dagli inquirenti c’è anche il titolare di un’agenzia funebre, che Ermanno avrebbe contattato alcuni giorni prima il ritrovamento dei cadaveri dei genitori. Chiedeva di poter organizzare il funerale del padre appena morto, salvo poi cambiare idea dopo qualche ora e disdire tutto. Perché quelle telefonate? Possono avvalorare l’ipotesi che i coniugi Fieno siano morti in due momenti differenti? E cosa è successo tra la prima e la seconda chiamata? E se Gianfranco è veramente morto per cause naturali, perché non risulterebbero telefonate al 118 e nessuno avrebbe informato i figli Anna Maria e Luciano?
I rilievi e la perquisizione
Cristallizzata la scena, gli investigatori sono tornati nell’appartamento ben due volte. Giovedì per i rilievi, anche mediante l’utilizzo del luminol. Avrebbero rilevato tracce di sangue in cucina (dove Rosa Rita sarebbe stata uccisa) e nella camera matrimoniale (dove è stato rinvenuto il cadavere), oltre che sulla presunta arma del delitto e su alcuni oggetti.
Venerdì, invece, per la perquisizione. Tutte le stanze sarebbero apparse in perfetto ordine, tra cui quella di Ermanno. La stessa di quando era ragazzo. Con il letto a castello e una collezione di spade attaccate alle pareti. Sui mobili, dei raccoglitori per i soldi, con le monete accuratamente infilate ciascuna nell’apposito box, e tantissimi libri gialli, thriller e horror. Tra cui Il grande dio Pan, a cui Ermanno ha fatto riferimento su Facebook il giorno prima del ritrovamento dei cadaveri dei suoi genitori (“Dicono sia il libro più terrificante mai scritto, vediamo se è davvero così…”). Apparentemente intonso, il volume sarebbe stato sequestrato insieme ad alcuni fogli dove Fieno avrebbe elencato una serie di libri. La sensazione, per gli investigatori, è quella di trovarsi di fronte a una persona precisa, metodica, strutturata e organizzata.
I funerali
Eseguiti gli esami autoptici, il pubblico ministero Chiara Capezzuto, titolare insieme al procuratore Paolo Auriemma delle indagini coordinata dalla squadra mobile della questura di Viterbo, ha restituito la salma di Gianfranco e Rosa Rita ai familiari per i funerali. Avranno luogo alle 10e30 di domani nella chiesa di santa Maria del Paradiso.
Raffaele Strocchia
Presunzione di innocenza
Per indagato si intende semplicemente una persona nei confronti della quale vengono svolte indagini preliminari in un procedimento penale.
Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.
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