Viterbo – Condanna dimezzata da dieci a cinque anni in appello e revoca della misura detentiva in carcere. Sono gli effetti della riqualificazione del reato da omicidio volontario a feticidio per la ballerina 28enne Elisaveta Alina Ambrus.
Ergo, anche se domani dovesse tornare in Italia, sempre che sia all’estero, la Ambrus, sparita da novembre 2014, non andrebbe in prigione.
E’ la donna d’origine romena che il 2 maggio 2013 gettò tra i rifiuti, in un cassonetto di via Solieri, al Salamaro, il corpicino senza vita della figlioletta, data alla luce al settimo mese di gravidanza, forzando le contrazioni uterine con un farmaco antiulcera usato per gli aborti clandestini, procurato grazie alla ricetta falsa di un infermiere di Belcolle, tuttora sotto processo.
La donna, rilasciata dopo sei mesi di carcere preventivo, sontati tra Civitavecchia e Rebibbia, ai tempi in cui era accusata di soppressione di cadavere, prima che il pm Franco Pacifici ottenesse la riqualificazione in omicidio volontario, ha fatto perdere le sue tracce da novembre 2014.
“Con la Ambrus abbiamo avuto solo sporadici contatti tramite piattaforme internet, non so dove si trovi la donna in questo momento”, ribadisce il difensore Samuele De Santis, che dall’inizio ha assistito la 28enne e il presunto complice infermiere con la collega Maria Antonietta Russo.
Inutilmente l’accusa ha chiesto per la madre un mandato di cattura europeo, nel 2014, dopo la riqualificazione del reato in omicidio volontario e occultamento di cadavere. Nonostante il ricorso al rito abbreviato, lo stesso Pacifici, durante il processo di primo grado concluso con la condanna a dieci anni di carcere, chiese l’ergastolo per omicidio aggravato dalla crudeltà.
Non ottenne l’ergastolo, ma il gup Savina Poli dispose la misura detentiva in carcere. Mai applicata, dal momento che nel frattempo, era il 30 settembre 2016, già da due anni la Ambrus aveva fatto perdere le sue tracce.
“La riforma della sentenza, con una condanna a cinque anni in appello per feticidio – spiega De Santis – ha comportato anche la revoca della misura detentiva in carcere, che non sarebbe stata più adeguata alla pena, scesa già a quattro anni e mezzo per via dei sei mesi già scontati durante la carcerazione preventiva”.
La bambina è morta in un appartamento del quartiere San Faustino, condiviso dalla madre con una collega ballerina dello stesso night di via della Meccanica al Poggino dove aveva intrattenuto i clienti fino a poche ore prima del parto indotto dall’assunzione di quattro pillole di Cytotec.
Secondo la perizia medico legale disposta dalla procura, la piccina avrebbe fatto in tempo a respirare dopo l’espulsione, come dimostrerebbe la lieve dilatazione dei suoi polmoni. Abbastanza per far dire all’accusa che non si tratta di un feto, ma di una bambina, nata viva, che si sarebbe potuta salvare se fosse nata in un reparto di maternità, invece di cadere per terra nel bagno dell’abitazione dove è stata partorita.
Per i giudici della corte d’appello, come chiesto dalla difesa, non fu omicidio volontario, ma feticidio, una fattispecie prevista dall’articolo 578 del codice penale, che recita: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da 4 a 12 anni”.
Sullo stato di abbandono materiale e morale ha fatto leva la difesa: “Tra il 2012 e il 2013, durante la gravidanza, la Ambrus lavorava come intrattenitrice all night del Poggino sequestrato il 12 gennaio scorso dopo l’arresto per sfruttamento della prostituzione dei titolari, marito e moglie, che, secondo l’accusa, avrebbero spinto le dipendenti a fornire servizi extra ai clienti. Non a caso, abbiamo depositato la misura di custodia cautelare nei confronti dei gestori”.
Silvana Cortignani
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