Viterbo – Daniele Barchi è tornato a Gaeta, e lì riposerà per sempre. Lì il 42enne che a Viterbo ha trovato la morte era cresciuto e aveva vissuto gran parte della sua vita, tra l’affetto dei genitori adottivi. Davanti a quella bara in mogano ricoperta di rose bianche erano in lacrime, dilaniati dalla sofferenza. “Siamo provati. Nei nostri cuori c’è rabbia e dolore”, hanno fatto sapere dopo il triste rito del riconoscimento. Lunedì, all’obitorio di san Lazzaro, poco prima dell’autopsia. La salma è poi partita per Gaeta, per l’addio. Ieri pomeriggio, nella chiesa di santo Stefano, e il funerale è stato celebrato da don Stefano Castaldi.
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“Sei venuto a mancare in un modo da non credere. Riposa in pace e condoglianze ai tuoi genitori”, il ricordo di Mario, “un caro amico di Daniele e suo collega di lavoro come ausiliario del traffico”. Barchi è poi stato tumulato nella cappella di famiglia nel cimitero di Gaeta. Fuori dalla chiesa, il libro delle firme. “Daniele Barchi – si legge -. 10 aprile 1976, 22 maggio 2018”. La data della morte è quella del ritrovamento del cadavere, avvenuto otto giorni fa nel monolocale di via Fontanella del Suffragio dove il 42enne viveva da pochi mesi. Sarà l’autopsia a dire quando e a che ora Barchi è morto. Ma non prima di sessanta giorni, quando la relazione del medico legale Maria Rosaria Aromatario finirà sulla scrivania del pm inquirente Stefano d’Arma.
E i risultati dell’esame autoptico sveleranno anche se il 42enne sia stato torturato per quasi due giorni. Massacrato con calci, pugni e schiaffi fino a morire. O se sia stato finito con quella forchettata al collo i cui segni, come altri graffi ed escoriazioni, erano ancora visibili al momento del ritrovamento del cadavere. E se quei cazzotti e quegli schiaffi, che gli hanno tumefatto il volto e gli hanno reso livido il corpo, siano stati inferti solo da una mano maschile o anche da una femminile.
Due gli indagati per omicidio volontario. Una coppia di fidanzati finita nel fascicolo d’indagine aperto dalla procura di Viterbo e intestato anche al procuratore capo Paolo Auriemma. Stefano Pavani di 31 anni e Azzurra Cerretani di venticinque. Mentre lei, che è già stata interrogata tre volte dal pm D’Arma, è a piede libero, lui è rinchiuso a Mammagialla da una settimana. Nel reparto infermeria, dove è in isolamento, sorvegliato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria e monitorato 24 ore su 24 anche con le telecamere. È stato il gip Rita Cialoni, di fronte al quale Pavani si è avvalso della facoltà di non rispondere, a disporre la custodia cautelare in carcere dopo la convalida del fermo eseguito dai poliziotti della squadra mobile che stanno conducendo le indagini. “Stiamo valutando la possibilità di rivolgersi al tribunale del Riesame”, dice il difensore del 31enne, l’avvocato Luca Paoletti.
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