Tuscania – Due anni fa la morte di Angelo Gianlorenzo, l’ottantatreenne trovato cadavere alla vigilia di Ferragosto del 2016. Un omicidio, secondo gli inquirenti. Commesso nelle campagne di Tuscania dal cognato della vittima. Aldo Sassara, 74 anni, che avrebbe ucciso Gianlorenzo “colpendolo alla testa e all’addome e lasciandolo agonizzante”. Per lui la procura di Viterbo ha anche chiesto l’arresto.
La procura vuole il carcere
Per il pm Massimiliano Siddi, “la personalità di Sassara denota una carica di violenza e di pericolosità che non può ritenersi esaurita con il grave fatto di sangue ai danni del cognato”. Il pubblico ministero ne ha così chiesto l’arresto in carcere, anche per “la concreta possibilità che Sassara, se lasciato libero, possa incidere sulla genuinità dell’acquisizione probatoria”. Ovvero, possa depistare le indagini. Ma il gip, a settembre 2016, ha rigettato la richiesta di custodia cautelare “per mancanza – scrive – di gravi indizi di colpevolezza”.
La procura ha comunque notificato a Sassara l’avviso della conclusione delle indagini, l’atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Ma a nove mesi di distanza l’udienza preliminare non è ancora stata fissata.
La ricostruzione dell’omicidio
Quella mattina Sassara, stando a quanto riferito dalla moglie ai carabinieri, “è uscito di casa tra le 7 e le 7,30 per recarsi nel proprio terreno, confinante con quello della vittima, in località San Savino”. In realtà dalle telecamere di videosorveglianza “si rileva che l’indagato è transitato sull’incrocio di via del Pratino (Capodimonte, ndr), poco distante dalla sua abitazione, alle 6,31. Da solo e a bordo del suo motorino bianco”.
Angelo Gianlorenzo viene invece immortalato sulla Martana alle 7,03. Mentre anche lui, a bordo del suo Piaggio Ape, sta raggiungendo la campagna.
“Fondamentale”, come il pm l’ha definita, la testimonianza di un pastore della zona. Alle 9,30, mentre portava le pecore al pascolo, ha “sentito in lontananza delle urla e degli strilli, come di persone che stavano litigando. Più mi avvicinavo al casale – racconta -, più udivo forte la discussione. Le urla e gli strilli sono durati per circa dieci minuti e, secondo me, la discussione era tra due o più persone. Mentre portavo il gregge al fiume, ho sentito in lontananza una voce che diceva: ‘Dai, forza! Vai, vai’. Poi ho udito soltanto dei lamenti provenire da una sola persona. Lamenti riferibili a una persona che era stata picchiata, malmenata o che stava male. Sono durati per circa dieci minuti, poi non ho sentito più nulla”. Se non “un calpestio, desumibile dal movimento di foglie e arbusti, che mi ha fatto ritenere che qualcuno stesse correndo o scappando. Il movimento andava in direzione di alcune piante d’olivo”.
“Alle 11,15 – scrivono gli inquirenti nelle carte d’inchiesta – Sassara viene nuovamente ripreso dalle telecamere”. Questa volta però nel senso opposto di marcia. Ovvero, mentre dalla campagna ritorna a Capodimonte. Dove, verso le 11,30, “si sarebbe recato in un chiosco” e avrebbe anche “consumato un aperitivo”. Tra le 12 e le 12,45 fa “rientro a casa per pranzare. Per poi riuscire alle 14,15, sempre a bordo del suo ciclomotore”.
Il ritrovamento del cadavere
Il ritrovamento del cadavere di Angelo Gianlorenzo avviene alle 12,15. A fare la macabra scoperta è il figlio, allertato dalla madre perché il padre non era rientrato in casa alla solita ora. Tra le 10 e le 10,15. “Giunto sul posto – ricorda il figlio della vittima – ho chiamato a gran voce mio padre, non ricevendo però risposta. L’ho ritrovato alle spalle del casale riverso a terra. In un primo momento ho pensato a un malore, ma poi ho visto la testa piena di sangue, la camicia strappata e graffi sulla pancia e il costato. Chiazze di sangue e oggetti sparsi sul terreno, la dentiera per terra e le scarpe sfilate. Ho provato a soccorrerlo, ma non c’era più nulla da fare. Ho preso un lenzuolo e l’ho coperto”.
Quando i carabinieri arrivano sul luogo del delitto trovano accanto al corpo di Gianlorenzo anche un berretto, un paio di scarpe nere, un mazzo di chiavi, frammenti di tegola e un sasso. “Tutti – sottolineano – con tracce ematiche sopra”. Infine monete e banconote. “Il tutto – continuano gli investigatori – in posizione sparsa e tale da far desumere che ci fosse stata una colluttazione”. E vicino a dei tubi per l’irrigazione notano anche “una grossa tegola rustica, riconducibile ai frammenti rinvenuti vicino al cadavere, con tracce ematiche nella parte in cui era spezzata e dei residui piliferi sul bordo”.
“Prima o poi te la farò pagare”
Sassara finisce nel mirino degli inquirenti dopo alcune dichiarazioni del figlio della vittima. “Da dieci anni – racconta – abbiamo dei dissidi per degli appezzamenti di terreno e alcune proprietà abitative, con causa al tribunale civile di Viterbo, con mio zio Aldo Sassara. Dieci giorni fa, mentre annaffiavo l’orto, ho sentito un’animata discussione tra mio zio e mio padre, che erano arrivati anche alle mani. Dopo averli separati, ho invitato mio zio ad andarsene. E mentre andava via ha proferito a mio padre la frase: Tanto prima o poi te la fo’ pagare”.
Quel giorno i carabinieri cercarono Sassara per ore. Lo rintracciarono nel pomeriggio in località Malorto, dove ha un secondo appezzamento di terra. “Che è successo? Mica avrò ammazzato qualcuno? – chiede agli investigatori -. Io non ho fatto niente”. E informato dell’omicidio di Angelo Gianlorenzo dice: “Va be’, se mio cognato è morto meglio così. Uno di meno, un problema in meno. Brutto birbaccione, vaffanculo. Tutto a me. Così la terra va tutta a me”. Poi ripercorre quanto fatto in mattinata. “Ho preso il trattore e so’ annato a lavorare nella terra. Poi ho lasciato il trattore e a mezzogiorno e mezza so’ venuto a casa. (Angelo Gianlorenzo) non l’ho visto per niente. Non l’ho proprio visto. Alle 7 non c’era. Ho visto l’apetto (della vittima, ndr). A me, me sa ‘na cosa strana che l’hanno ammazzato. Ma se l’hanno ammazzato – chiede ai carabinieri -, te la vieni a piglia’ co’ mico?”.
“Si è cambiato i vestiti”
Investigatori, pm e persino il gip hanno pochi dubbi: “Prima di andare via dal terreno Aldo Sassara si è cambiato. È uscito di casa vestito in un modo e se n’è andato dal terreno con indumenti diversi da quelli con i quali vi è giunto”. Secondo i carabinieri questo cambio d’abito è avvenuto “con assoluta certezza”, nonostante Sassara lo abbia più volte negato. “In maniera insistente e sospetta – sottolineano i militari -, appoggiato dalla moglie”.
Per gli inquirenti la prova regina sono le immagini della videosorveglianza, che immortalano Sassara andare e tornare dalla campagna. Mentre alle 6,31 “indossa il casco, un giubbotto senza maniche di colore verde militare e una camicia a maniche lunghe color granata\terracotta. Un paio di pantaloncini scuri e un paio di scarpe chiare\beige”. Alle 11,15 “indossa una canottiera azzurra e dei pantaloncini”. Ovvero, gli abiti che aveva addosso quando è stato rintracciato dai carabinieri e che sono stati sequestrati. “Sassara – scrive il pm – prima di tornare dalla campagna, dove ha ucciso Gianlorenzo, si è cambiato. Del vestiario sostituito non c’è più traccia, perché se ne è sbarazzato in quanto compromesso con le tracce del crimine. Poi si è allontanato, come se niente fosse successo, alla vita quotidiana in paese e in famiglia”.
La figlia: “Indossava una camicia” – La moglie: “Aveva una canottiera”
Alle 11,15 le telecamere immortalano Sassara con addosso una canottiera. Ma la figlia, sentita dai carabinieri alle 20,20 del 14 agosto, dirà che il padre “verso le 11,30, quando è venuto al chiosco, indossava una camicia a quadri, dei pantaloncini sul marrone militare e degli scarponi da lavoro”. Per la moglie, invece, quando Sassara è rientrato a casa, tra le 12 e le 12,45, “era vestito con pantaloncini corti di colore verde, una canottiera blu e tipici scarponi da lavoro”.
“Non mi so’ cambiato, ma non ce volete crede’…”
Nel corso delle indagini decine sono state le intercettazioni degli inquirenti. In un soliloquio, captato mentre è a bordo della sua auto, Sassara dice: “Ma perché m’ho da cambia’? Non mi so’ cambiato mai, non mi rompete le coglioni. C’evo la canottiera e i calzoncini. Voi altri non ce volete crede, eppure è così. Se ho freddo, me metto la camicia. Che me metteo… Nel motorino ha da esse’ la camicia”.
Raffaele Strocchia
Presunzione di innocenza
Per indagato si intende semplicemente una persona nei confronti della quale vengono svolte indagini preliminari in un procedimento penale.
Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.
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