Tribunale - Macchina del fango e Vinitaly - Al centro del processo ancora la vita di redazione nei quotidiani diretti da Paolo Gianlorenzo
di Silvana Cortignani
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 Paolo Gianlorenzo |
 Francesco Battistoni |
 Alessia Serangeli  Luca Appia |
Viterbo – Macchina del fango, la vita all’interno delle redazioni dirette da Paolo Gianlorenzo continua ad essere al centro del processo scaturito dall’inchiesta della procura denominata non a caso “IV Potere”. Così come i nemici giurati del giornalista: il patron della Viterbese, Piero Camilli e il senatore di FI, Francesco Battistoni.
La sfilata di collaboratori citati come testi dell’accusa dal pm Massimiliano Siddi è proseguita con i giornalisti Alessia Serangeli e Luca Appia e il grafico Mario Ramundo i quali, tra qualche incertezza, sono tornati a parlare delle minacce di licenziamento se non avessero accettato una riduzione dello stipendio e del celeberrimo “metodo Ciarrapico”.
Gli avvocati Carlo Taormina e Franco Taurchini, difensori rispettivamente di Gianlorenzo e della presidente della cooperativa nonché coimputata VivianaTartaglini, hanno insistito molto su come fossero veri i venti di crisi che, nell’estate 2011, rischiavano di far chiudere cooperativa e giornale (sarebbe stato il secondo nel giro di pochi anni per Gianlorenzo), con finanziamenti più che dimezzati, scesi da 30mila a 10mila euro al mese, da parte degli imprenditori privati che avevano sposato la causa dell’edizione viterbese dell’Opinione.
A margine dell’udienza, lo stesso Gianlorenzo, che era presente in aula, ha mostrato l’articolo 18 dello statuto della cooperativa, del 20 settembre 2010, in cui c’è scritto: “Il regolamento di cui all’articolo precedente può prevedere la riduzione dell’orario o la sospensione del lavoro a tempo determinato, indeterminato o in altra prevista dalla legge rispettivamente in caso di crisi occupazionale temporanea o in caso di necessità di ridimensionamento definitivo degli organici della cooperativa”.
Per le difese, nessun ricatto: la riduzione dello stipendio era l’unica alternativa alla chiusura del giornale. O bevi o affoghi.
Serangeli, che ha lavorato per Gianlorenzo fino alla chiusura del primo quotidiano, Nuovo Viterbo Oggi, edito per l’appunto da Giuseppe Ciarrapico, ha spiegato come secondo lei, almeno in una prima fase, il “metodo Ciarrapico” fosse più un modo di dire goliardico tra colleghi che altro, ispirato ai modi bruschi del senatore, e come il direttore palesasse un ideale romantico del giornalismo, concentrato sugli scoop e sulle grandi inchieste, come quelle relative alla Asl e all’università, che avrebbe condotto personalmente.
Pungolata dal pm Siddi ha però ammesso di avere sentito dire che “l’inchiesta sull’università avrebbe avuto secondi fini, non sarebbe stata fine a se stessa, ma per un tornaconto personale, forse per ottenere qualcosa, forse per la moglie del direttore” e che il metodo Ciarrapico avrebbe voluto dire “essere brusco per guadagnarci qualcosa, non solo indagini in maniera serrata a fini giornalistici”. Niente di sperimentato di persona, perché lei si occupava di conferenze stampa, cronaca nera e cronaca giudiziaria.
In aula anche l’ex collega Luca Appia, uno dei primi ad essere reclutati da Gianlorenzo quando aprì il suo primo quotidiano, come fotoreporter e ai comprensori, passando quindi alla cronaca nera dopo l’apertura dell’Opinione di Viterbo e le dimissioni di Alessia Serangeli. Assieme a Daniele Camilli e Roberto Pomi fu licenziato in tronco dalla presidente della cooperativa Viviana Tartaglini, nell’estate 2011, quando rifiutarono il taglio dello stipendio a causa della crisi.
Quel giorno ci furono momenti ad altissima tensione. In redazione arrivarono i carabinieri. Poi intervenne il sindacato Assostamparomana e furono riassunti: “Alle stesse condizioni di prima, senza alcuna riduzione dello stipendio”, ha detto il testimone su domanda delle difese.
Il 10 agosto 2011 c’era anche lui alla famosa riunione che è stata registrata di nascosto, costata a Gianlorenzo e alla Tartaglini una denuncia per minacce e tentata estorsione. E anche alla riunione della cooperativa in cui si manifestarono “tre-quattro nuovi presunti soci mai visti prima, uno particolarmente massiccio e palestrato (buttafuori, ndr), per alterare le dinamiche del voto assembleale”. “La scissione fu quasi definitiva – ha spiegato Appia – le idee della redazione e della direzione, ovvero Gianlorenzo e Tartaglini, non erano più conciliabili”.
Appia non faceva politica, bensì cronaca. Ma tra colleghi se ne parlava: “Francesco Battistoni – ha proseguito – era considerato una persona scomoda, che doveva essere attaccata, per scoraggiarlo a prendere più posizione nel partito. Battistoni andava ridimensionato politicamente”. E ancora: “Ci diceva ‘imparate a conoscere i nostri nemici, se ci troviamo in questa situazione grave è perché Piero Camilli ci ha truffato 250mila euro, farà il bruciatore di carcasse degli agnelli di Acquapendente invece della centrale”.
Gianlorenzo sarebbe stato pronto a tutto per fare fuori la concorrenza, con un odio particolare nei confronti del Nuovo Corriere Viterbese, un giornale che all’epoca, diversamente dal suo, marciava sulle 900 copie vendute al giorno, edito dal Gruppo Rori degli imprenditori della sanità privata Roberto e Fabio Angelucci, proprietari della Nuova Clinica Santa Teresa sulla Tuscanese. “Il direttore ci diceva ‘diamo il colpo di grazia al Nuovo Corriere Viterbese – ha detto ancora Appia – dobbiamo trovare documenti contro gli Angelucci, ci penso io. Se chiude, noi possiamo conquistare almeno 200 copie in più'”.
Al termine, il collegio presieduto dal giudice Silvia Mattei ha rinviato il processo al 23 aprile, sollecitando il pm Siddi, per stringere i tempi, a citare ben dieci testimoni. Tra loro Piero Camilli e Francesco Battistoni.
Silvana Cortignani
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