Viterbo – Aveva appena 20 anni nel dicembre 2014 quando, alla vigilia di Natale, ha comprato on line il suo primo chilo di nitrato di potassio per confezionare esplosivi.
Subito dopo l’attentato incendiario durante il trasporto della Macchina di Santa Rosa, il 9 settembre 2015, ne ha acquistati ben cinque chili.
In casa, lo scorso 12 marzo, quando il 24 enne Denis Illarionov è stato arrestato a Bagnaia, gliene hanno sequestrati tre chili e anche un paio di candelotti, poi disinnescati dagli artificieri, nonché armi da softair.
La “guerra per finta”, un hobby innocuo in confronto alle accuse di tentata strage contestata dalla Dda di Roma e attentato alla pubblica sicurezza di cui deve rispondere alla corte d’assise.
Un’escalation preoccupante di cui si sono accorti, Oltreoceano, gli specialisti dell’Fbi indagando sul terrorismo internazionale. Non era terrorismo internazionale, ma prima che il fascicolo tornasse a Viterbo, Illarionov avrebbe fatto delle confidenze altamente incriminanti al compagno di cella di Mammagialla.
Il 24enne gli avrebbe detto di avere individuato degli obiettivi da colpire, tra i quali le scuole Pietro Egidi e Bonaventura Tecchi di Viterbo.
Secondo l’ordinanza del gip Francesco Rigato “aveva intenzione di fare una strage. Per dare dimostrazione a tutti della sua determinazione e che si ispirava a Igor il Russo, il noto omicida arrestato in Spagna” (“Avevo deciso di fare una strage di bambini”).
Risale al 22 aprile 2017 la foto con la pistola postata su Instagram, con la scritta: “E’ ora di ammazzare i bambini dell’asilo”.
Il compagno di cella, il 5 maggio scorso, ha cercato tramite il suo difensore gli inquirenti, consegnando loro un foglietto manoscritto di Illarionov, con sopra un nome e un indirizzo. La polizia giudiziaria è così piombata a casa di un nordafricano, a caccia di armi, che però durante la perquisizione non sono state trovate.
Lo stesso recluso, un italiano residente nell’hinterland romano, che era prossimo alla concessione degli arresti domiciliari, avrebbe quindi consegnato agli investigatori un alto foglio scritto a mano, questa volta di suo pugno, in cui avrebbe annotato delle confidenze fatte dal sospetto terrorista viterbese. Ci sarebbe una lista di nomi di asili e scuole elementari, tutti situati nel capoluogo.
Il prezioso testimone, nel frattempo uscito dal carcere, avrebbe dovuto essere sentito durante l’udienza di martedì dalla corte d’assise. Ma in aula non si è presentato e la pm Chiara Capezzuto, sospettando che possa desiderare di sottrarsi all’incombenza, per il 20 dicembre ne ha già chiesto l’accompagnamento coattivo in tribunale.
Che quel figlio nato in Lettonia e cresciuto in Italia, incollato al computer giorno e notte, avesse dei problemi se ne sarebbe accorta anche la madre. La difficile situazione del nucleo familiare sarebbe stata a conoscenza dei servizi sociali, del Sert e dell’Spdc della Asl.
Una vita dura quella della donna, sposatasi una quindicina anni fa con un viterbese da cui però si era separata, così come è emersa dalle testimonianze dei poliziotti della Digos, sentiti in aula dalla corte d’assise durante l’udienza del 28 novembre. “A noi risulta che Illarionov non abbia mai lavorato, tranne un breve periodo. Viveva con la madre fino agli ultimi mesi prima dell’arresto. La donna poi si è trasferita in Germania per lavoro e lui è rimasto solo”, hanno spiegato gli investigatori.
“La madre era alcolista e nel 2015 è finita al pronto soccorso di Belcolle, che poi l’ha inviata al Sert. Nel 2016 ha tentato il suicido in un bed&breakfast di Roma. E lo avrebbe rifatto anche di recente. A causa dei suoi gravissimi problemi economici, aveva chiesto aiuto ai servizi sociali del Comune di Viterbo. Poi si era rivolta al Servizio psichiatrico diagnosi e cura della Asl, lamentando difficoltà di relazione con il figlio. Le hanno chiesto di portarlo, ma lui non è mai andato con lei. Di sicuro però il figlio era una delle sue preoccupazioni”, hanno spiegato i poliziotti alla corte presieduta dal giudice Gaetano Mautone.
Silvana Cortignani
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