Viterbo – Uno spaccato di Mammagialla al processo a Denis Illarionov, il 25enne di Viterbo che ha lanciato una bomba contro la Macchina di Santa Rosa la sera del trasporto del 2015. Ieri è nuovamente comparso davanti alla corte d’assise presieduta dal giudice Gaetano Mautone, cui deve rispondere dell’accusa di strage contestata dalla Dda di Roma e attentato alla pubblica sicurezza.
In aula un pentito e un rapinatore per chiarire se abbia elencato in carcere al supertestimone le scuole scelte come obiettivo. No, secondo Ermanno Fieno.
Il giovane intanto sarà sottoposto a perizia psichiatrica, come chiesto dalla difesa, sulla scorta della consulenza di parte della psicoterapeuta Valentina Tanini. Sciogliendo la riserva, il tribunale ha indicato lo psichiatra Alessandro Giuliani di Terni, cui l’incarico sarà affidato il 22 febbraio.
Illarionov, segnalato come sospetto terrorista internazionale dall’Fbi, avrebbe confidato di volere fare una strage di bambini nelle scuole viterbesi a un altro detenuto del carcere sulla Teverina, dove è recluso dal 12 marzo dell’anno scorso, facendogli anche un dettagliato elenco delle scuole scelte come potenziali obiettivi. E’ il 45enne romano Alessandro Di Girolamo, sentito in aula il 20 dicembre.
Il difensore Vincenzo Comi ha però denunciato per calunnia il supertestimone, dopo che un altro detenuto, Ermanno Fieno, il viterbese 45enne che ha ucciso la madre e avvolto nel cellophane i cadaveri dei genitori rinvenuti il 13 dicembre 2017 a Santa Lucia, ha riferito a Illarionov che Di Girolamo si era rivolto a lui con una scusa per avere proprio l’elenco dettagliato delle scuole di Viterbo, spacciato poi con gli investigatori come una “confidenza” del 25enne.
Un pentito di mafia e un rapinatore per chiarire chi dice il vero tra il supertestimome e Ermanno Fienno. Ma si contraddicono.
Per chiarire le versioni contrastanti di Fieno e del supertestimone, ieri sono stati sentiti altri due detenuti, l’ex compagno di cella di Illarionov e un pentito di mafia, anche loro reclusi nel reparto protetti-sezione rossa di Mammagialla, nonché il sovrintendente della polizia penitenziaria che ha ricevuto il manoscritto in cui Di Girolamo denunciava l’intenzione di Illarionov di far esplodere asili nido e scuole materne del capoluogo una volta lasciato il carcere.
Invece di dirimere la querelle, ne sono sortite altre due versioni contrastanti.
Prima versione: Illarionov minacciato in cella dal supertestimone
Secondo un 38enne d’origine bosniaca, analfabeta, residente in un campo nomadi della capitale, a Castel Romano, in galera per rapina: “Era Di Girolamo a cercare Illarionov dopo averlo riconosciuto come quello visto in tv, al telegiornale, il giorno dell’arresto, che voleva ammazzare bambini. E’ venuto 5-6 volte in cella, minacciandolo, perché leggendo le sue carte aveva scoperto che era dentro solo per detenzione di esplosivi anche se aveva detto di voler fare una strage di bambini. Era per i bambini. Siccome le celle sono l’unico posto senza telecamere, mi diceva di menarlo”, ha riferito in aula.
“Di Girolamo non è un santo, è legato ai Casamonica e al clan Spada di Ostia. A me ha chiesto armi, perché una volta uscito voleva farsi dei furgoni portavalore. Mi ha promesso dei soldi in cambio”, ha detto il teste, messo più volte in difficoltà per le numerose incongruenze della deposizione dal procuratore capo Paolo Auriemma, che ha condotto gli interrogatori per l’accusa assieme alla pm Chiara Capezzuto.
Un giorno Illarionov, sempre secondo il bosniaco, si sarebbe tagliato apposta la mano con un coltello, poi rinvenuto sotto il lavandino del bagno della cella, per farsi trasferire in un altro reparto e non farsi più minacciare da Di Girolamo, cui a fine maggio 2018 sono stati concessi i domiciliari.
Al reparto protetti, dove si trova tuttora, il 25enne è stato trasferito poco dopo l’arresto, essendo stato picchiato dai detenuti comuni, sempre per via della strage di bambini. Ci sono due sezioni: la blu per i cosiddetti sex-offenders e la rossa, promiscua, per ex componenti delle forze dell’ordine, pentiti della malavita organizzata e altri detenuti a rischio incolumità, come Illarionov e Fieno, per il clamore mediatico suscitato dai rispettivi casi.
Seconda versione: Illarionov chiede armi al pentito di mafia per fare strage di bambini
Una opposta versione dei fatti ha raccontato invece il detenuto per mafia 38enne Marco Piscopo, dell’omonimo clan di Vittoria, in provincia di Ragusa, ex collaboratore di giustizia, trasferito il 10 novembre a Frosinone, nel reparto protetti-sezione rossa in quanto collaboratore di giustizia, in carcere dal 2017 per scontare un cumulo di pene fino al 2029.
“Illarionov sapeva chi ero e mi ha chiesto armi per portare a termine l’opera – ha detto ai sei giurati popolari e ai due giudici togati della corte d’assise – voleva un mitra, pistole oppure dei fucili per compiere la strage di bambini negli asili nido di Viterbo. Siccome sono un collaboratore di giustizia, mi sono sentito in dovere di riferire. Ho scritto due lettere alla pm Paola Conti, ad aprile e a giugno, per rilasciare spontanee dichiarazioni”. Secondo lui il coltello rinvenuto in cella, era stato nascosto “per uccidere una guardia carceraria”.
Il procuratore capo Ariemma, ha chiesto al sovrintendente della penitenziaria addetto alle “comunicazioni” dei detenuti del reparto, se per ottenere vantaggi i reclusi siano disposti a dire il falso. Il difensore Comi, invece, se esistesse un “metodo Piscopo”, avendo detto l’agente che l’ex collaboratore di giustizia era riuscito “a farsi un po’ di spazio per stare tranquillo”. “Tutti i detenuti – ha risposto il poliziotto – cercano di accaparrarsi le simpatie della penitenziaria”.
Silvana Cortignani
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