Viterbo – “Una grande tragedia familiare, una famiglia patologica”, così il perito di parte della difesa, il professor Alessandro Meluzzi, a margine dell’udienza di ieri del processo col rito abbreviato condizionato alla perizia psichiatrica a Ermanno Fieno. “Incapace di volere nell’ambito di una famiglia patologica, talmente abituato alla finzione da pensare di poter fare finta di niente”, secondo lo psichiatra. Se fosse per lui, lo farebbe ricoverare e curare, non lo terrebbe in carcere.
Fieno non è schizofrenico, ma per entrambi i periti, quello di parte e il ctu del tribunale, soffrirebbe di una patologia psichiatrica: il cosiddetto disturbo d’adattamento con umore depresso e ansioso. E’ la diagnosi che mette d’accordo il professor Giovanni Battista Traverso, nominato dal gup Rita Cialoni, e il professor Alessandro Meluzzi, nominato dal difensore Roberto Massatani.
I due consulenti hanno illustrato le rispettive conclusioni ieri, durante il processo a porte chiuse al 46enne viterbese che il 28 novembre 2017 ha ucciso la madre dopo la morte naturale del padre, occultando i cadaveri avvolti nel cellophane in casa, dove sono rimasti composti, come in una macabra scena, fino alla sera del 13 dicembre quando, dopo due settimane, il fratello e la sorella di Fieno hanno dato l’allarme facendo accorrere sul posto vigili del fuoco e polizia mentre il figlio si dava alla fuga verso la Francia.
Fieno, detenuto a Mammagialla da un anno e tre mesi, è accusato dell’omicidio volontario della madre e dell’occultamento dei cadaveri dei genitori.
“Fieno – ha spiegato Meluzzi al termine dell’udienza – viveva in una famiglia sicuramente singolare dal punto di vista del condotto esistenziale, perché vivevano senza luce e senza acqua e lui doveva percorrere due chilometri e mezzo ad andare e due chilometri e mezzo a tornare con due taniche da venti litri. E questo certamente fa parte di un repertorio di comportamenti che nessuno di noi considererebbe fisiologici al nostro tempo, quando sarebbe bastato chiedere aiuto ai servizi sociali o a chiunque”.
“Ma la cosa più interessante, che è la conclusione cui giunge lo stesso ctu, cioè di disturbo di adattamento con umore depresso, se letto all’interno del disturbo borderline di personalità di cui il Fieno sicuramente soffriva, e combinato con questa psicopatologia, produce una di quelle condizioni che la sentenza della Cassazione a sezioni riunite del 2005 considera una scriminante anche rispetto alla capacità di intendere e di volere”, ha proseguito il consulente.
“A mio modo di vedere, viveva in una condizione di totale inautenticità e di sudditanza anche, a un padre-padrone e a una madre in qualche modo simbiotica con lui e anche con il marito. Questa inateunticità non si spingeva solo nel prendere il taxi con i pochi soldi senza pagare la bolletta della luce o dell’acqua, per far vedere alla cittadinanza che vivevano in condizioni di benessere, ma anche per parte propria uno stile di vita che nessun giovane della sua età avrebbe potuto sopportare”, ha detto il professor Meluzzi.
“Ci troviamo di fronte a un soggetto labile e fragile – per lo psichiatra di parte – che probabilmente ha commesso il delitto di uccidere la madre da cui dipendeva e che amava in modo simbiotico con un attizzatoio nel momento in cui spera di poter eludere la morte improvvisa del padre mettendolo dentro un cellophane sotto il letto, con una condotta che nessun assassino lucido penserebbe di potere realizzare mai”.
“Avviene in una di quelle situazioni che la psichiatria fenomenologica chiama di Wahnstimmung cioè di stato d’animo delirante, delirio che si realizza anche in qualcuno che non è francamente schizofrenico. Potrei anche io essere colto da una Wahnstimmung, se mi ritrovassi in una condizione esistenziale talmente tragica, talmente assurda, talmente ingovernabile, io che vivo nella totale inateunticità, come Fieno, e che devo in qualche modo mettere una pezza a una situazione”, ha spiegato lo psichiatra.
“Per cui lui non soltanto occulta anche il cadavere della madre, ma pensa, come veramente un matto, di potere fare finta di niente. Talmente abituato alla finzione, talmente abituato a una situazione di subalternità, di sudditanza e di dissociazione dalla realtà da trovarsi, diversamente da quello che pensa il perito d’ufficio, in tale condizione che, anche da un punto di vista psichiatrico forense, è una scriminante di capacità di intendere e di volere diminuita”, ha sottolineato.
“Mi permetterei di dire, anche se non l’ho detto in aula, una capacità in cui la capacità di intendere potrebbe essere discussa, mentre quella che certamente non c’è è la capacità di volere, infatti il nostro codice le considera anche disgiunte. Lui forse poteva, ma non era più capace di volere in modo cosciente. Quindi secondo me ci sono tutti gli elementi per una valutazione che intanto sgombera il campo dalle aggravanti, che sono le finalità futili e abiette. Qui non c’è né la futilità né l’abiezione, ma c’è una grande tragedia familiare, una famiglia patologica. Secondo me, mette in campo tutte le attenuanti possibili. In una situazione come questa, fossi il giudice, uno come Fieno lo manderei a curarsi in una comunità terapeutica e non in carcere. Non c’è più l’ospedale psichiatrico giudiziario, una volta un soggetto così sarebbe stato da opg”, la conclusione.
Si torna in aula il 2 aprile, quando sono previsti sia la discussione che la sentenza.
Silvana Cortignani
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