Viterbo – La guerra dal punto di vista dei braccianti. Anche quelli della Tuscia. Due interviste che parlano di due storie. Due storie da raccontare. Oggi, festa della Liberazione. A 74 anni dal 25 aprile 1945 quando nazisti e fascisti vennero cacciati e sconfitti da partigiani e alleati. L’anno dopo l’Italia diventava una Repubblica e tre anni dopo pure democratica.
Viterbo – Commemorazione caduti in guerra
Storie raccontate da due persone che non ci sono più. Irene Macchioni e Luigi Camilli. L’intervista è stata realizzata quindici anni fa. Per la prima viene resa pubblica. Un documento che racconta fatti inediti. La storia dimenticata di contadini poverissimi che la guerra l’hanno vissuta sulla propria pelle, sfruttati da secoli e da padroni spesso feroci. Quasi tutti passati al fascismo. Storie di povertà, talvolta estrema, e umanità.
Video: La guerra raccontata da Irene Macchioni e Luigi Camilli
La prima è la storia di un giovane tedesco ucciso dalle parti di Vetralla probabilmente da un mitragliamento aereo alleato. “Passarono i caccia bombardieri e ammazzarono un tedesco sulla terra nostra – racconta Irene Macchioni -. Gli fecero una buca e lo sotterrarono in quel modo, con tutti gli stivali. Sul podere nostro …che io c’avevo una paura quando passavo da lì! …Poi è venuto un vetrallese che ha scavato, lo ha ritirato fuori e gli ha levato gli stivali e l’orologio”. “Guarda – prosegue Irene – m’ha dato un dolore immenso. Per levargli quegli stivali lo aveva mezzo stroncato. Mi sembra sempre di vedere quel soldato e pensare a quanto avesse sofferto. Povero figlio. Giovane, perché in guerra tutti i giovani c’andavano. Quando lo vidi tirare fuori mi misi a piangere, perché pensavo alla madre, al fratello, alla sorella. Chissà quanto l’avranno desiderato. Dove è sepolto c’avevano messo una crocetta di legno. E sul terreno nostro è sotterrato”. “Sicuramente – conclude Irene – c’era tanta povertà, perché c’aveva levato tutto il governo. Ma io non l’avrei fatto nemmeno se fossi dovuta andare a mangiare le pietre”.
Viterbo – Irene Macchioni
La seconda storia la racconta invece Luigi Camilli. Anche lui era di Vetralla. Soldato nell’invasione dell’Unione sovietica, faceva parte dell’Armir. Riuscì a sfuggire all’accerchiamento russo. Dalla zona di Stalingrado arrivò, a piedi, fino a Varsavia. Dove ritrovarsi il comando. Salvò la vita di Amelio Magalotti di Valentano, con cui si rivedrà soltanto all’inizio degli anni ’90. Amelio è il padre di don Franco, prete operaio della Tuscia e animatore di movimenti pacifisti e antinuclearisti. Attivo negli anni ’70 e ’80 anche a sostegno delle rivoluzioni in America centrale e dei prigionieri politici detenuti nelle prigioni latinoamericane.
Viterbo – Luigi Camilli e Amelio Magalotti sul fronte russo
“Co’ sto Magalotti di Valentano – racconta Luigi Camilli – ci siamo messi a dormire dentro un carro merci in Russia dentro a una stazione bombardata. Un freddo! Gli dico, ‘Magalo’, non toccà le lamiere. Poi lui c’aveva sempre la febbre. Allora gli dico di aspettare. Davanti c’era una collina e sarei andato a vedere cosa trovavo. Mi arrampico e vedo una luce che si spostava da una parte e dall’altra. Probabilmente avremmo trovato una casa. Sono ritornato allora da Magalotti, gli ho detto cosa avevo visto e l’ho preso in spalla per portarlo verso la casa che avevo visto. Ma fatti un po’ di passi, Magalotti s’è buttato per terra. Gli ho subito avvolto i piedi con una coperta e sono andato prima a vedere se la casa c’era davvero. Magalotti mi diceva di salvarmi. Io gli rispondevo …’O tutti e due morti o…’. Che facevi? Sono arrivato in cima alla collina e la casa c’era. Ho cercato di convincere ad aiutarmi la persona che mi è venuta incontro quando mi ha visto. Siccome non voleva, gli ho puntato il fucile. E insieme siamo tornati a prendere Magalotti con la slitta. Quando gli riprese la circolazione del sangue…gli urli…”.
Viterbo – La commemorazione delle vittime del bombardamento
Due storie della Tuscia. Storie di guerra, pietà e coscienza. Una guerra che Irene e Luigi hanno conosciuto da braccianti. Una donna e un uomo. Il fronte interno. Per Irene Macchioni i tedeschi sono quelli che gli distruggono il campo e li costringono a vagare senza una méta e un tetto sulla testa. La povertà assoluta. Costretti a guardare le loro vacche mangiarsi il legno dei pali della vigna per la fame. Gli americani, quando li hanno visti, gli hanno tirato invece una bomba che a momenti gli ammazza tutti i fratelli. La pietà, però, davanti a quel soldato tedesco venuto in Italia a uccidere e opprimere, prevale. “Perché pure lui – spiega Irene – c’avrà avuto un padre e una madre”.
La storia di un uomo al fronte, questa volta esterno, il più duro, quello russo, con l’armata rossa che non faceva prigionieri, scatenando una controffensiva che avrebbe annientato l’esercito nazista nel giro di pochi mesi. Luigi Camilli stava lungo quella ritirata. Centinaia di chilometri a piedi. “Magnavamo le scorze de patate!”. Per sopravvivere. Ricorda Luigi. “Quando i soldati sovietici sono avanzati abbiamo perso tutti i collegamenti – racconta Luigi -. Non sapevamo più dove andare. Ma erano gli stessi russi ad aiutarci. perché prima noi ce ne andavamo e prima i loro figli potevano fare ritorno dalla guerra. I russi stessi ci avvisavano dei pericoli”.
“Ritrovammo il comando in Polonia – conclude il suo racconto Luigi Camilli – E lì c’era un testadicazzo di ufficiale che ci disse: ‘dove siete stati tutto questo tempo?’. Gli risposi: ‘Se avessimo avuto la macchina per fuggire, come lei, saremmo sicuramente arrivati prima. Noi a piedi e voi con la macchina. C’avete abbandonato”.
Daniele Camilli
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