Condividi:Queste icone linkano i siti di social bookmarking sui quali i lettori possono condividere e trovare nuove pagine web.
Giallo di Ronciglione - I giudici del tribunale del Riesame: "Andrea Landolfi non si è preoccupato delle condizioni della fidanzata, ma l'ha esortata a rimanere in silenzio per paura che qualcuno intervenisse in suo aiuto" - FOTO E VIDEO
Ronciglione – Maria Sestina Arcuri e Andrea Landolfi Cudia si conoscono nell’autunno del 2018. A Roma, dove lui vive e dove lei, 26enne calabrese, era da poco arrivata per inseguire il sogno di fare la parrucchiera. Quel 30enne operatore socio sanitario con la passione per la boxe, Sestina lo incontra durante una serata tra amici. La ragazza è triste e dimessa. Non è un momento facile: ha appena interrotto una gravidanza. Era rimasta involontariamente incinta durante una relazione antecedente a quella con Landolfi. E in quel periodo lui, hanno raccontato amici e parenti agli investigatori, le sarebbe stato molto vicino. A tal punto che Sestina ha poi deciso di iniziarci una storia.
Della “gravidanza interrotta” scrivono pure i giudici del tribunale del Riesame di Roma. E la gravidanza interrotta Landolfi l’avrebbe rinfacciata a Sestina anche durante la discussione avvenuta a Ronciglione, dove stavano trascorrendo il fine settimana, poche ore prima della morte della 26enne. La sera del 3 febbraio “Arcuri – scrive il collegio presieduto da Bruno Azzolini – era profondamente infelice. Piangeva. Landolfi, invece, aveva atteggiamenti scomposti e violenti, dovuti certamente all’eccessiva assunzione di alcol”.
Per i magistrati di piazzale Clodio, “l’indagato ha problemi con l’alcol e ha una personalità instabile, oggetto di plurimi accertamenti da parte del dipartimento di salute mentale della Asl di Roma”. “I problemi che Landolfi ha con l’alcol, al cui abuso reagisce divenendo aggressivo e violento, convincono della sua pericolosità sociale, la cui personalità non offre alcuna affidabilità”. “La violenza e l’aggressività di Landolfi, specie in presenza di abuso d’alcol, è stata confermata dalla madre del piccolo figlio, la quale ha riferito come fosse stata vittima della violenza del compagno tanto da arrivare a denunciarlo per maltrattamenti”. Per molestie e maltrattamenti nei confronti di un’altra ex, Landolfi è anche stato processo. Per poi essere assolto, perché il fatto non sussiste, nei giorni in cui stava cominciando la storia con Maria Sestina.
Maria Sestina, quella 26enne con il sogno di fare la parrucchiera che, secondo il Riesame, Landolfi ha “lanciato nel vuoto, da un’altezza di alcuni metri”, dalle scale di casa della nonna, a Ronciglione, la notte tra il 3 e il 4 febbraio. Il movente? “Evidentemente futile – affermano i giudici -, essendo riconducibile al rifiuto di essere lasciato ed esaltato, certamente, dall’alterazione psichica dovuta all’alcol”. Per il collegio, “l’indagato ha voluto causare la morte di Arcuri”. “L’episodio drammatico – spiega il Riesame – non è stato causato da un’improvvisa e imprevedibile manifestazione di violenza di Landolfi. Aveva già in più occasioni minacciato (ad esempio il nonno con il coltello) o usato violenza sulle donne (la prima fidanzata – tirata per i capelli durante un litigio perché aveva avuto un aborto spontaneo, ndr – e la madre del figlio) o su altri (risulterebbe aver preso a pugni uno zio). Può, quindi, ripetersi”. I giudici sottolineano il “pericolo di recidiva, in ragione delle violente modalità di commissione del reato (omicidio volontario aggravato, ndr) e della personalità di Landolfi”. Una personalità che definiscono “violenta, instabile” e incline “alla prevaricazione”. Per il Riesame, “sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico di Landolfi che impongono la misura del carcere”.
I magistrati di piazzale Clodio hanno così accolto il ricorso della procura di Viterbo, che dal 15 marzo chiedeva di arrestare Landolfi. Ma il procuratore capo Paolo Auriemma e il pm Franco Pacifici si sono visti respingere la richiesta dal gip Francesco Rigato, secondo il quale “emergono chiari elementi da cui si evince che Maria Sestina Arcuri è morta a seguito di una caduta accidentale”. Ma per i giudici del tribunale del Riesame, quella del gip è “una ricostruzione dei fatti parziale e, sotto molti aspetti, certamente errata”. Inoltre, “ha fornito un’interpretazione sempre e comunque orientata a favore dell’indagato, anche a fronte di oggettivi elementi indiziari di segno contrario”. Il collegio parla di “personali osservazioni e impressioni del primo giudice”, di “conclusioni, alle quali perviene il gip, assolutamente arbitrarie ed errate”. Per il Riesame, non solo la “tesi del gip è inconsistente” ma “non tiene in alcun conto, in modo incomprensibile, quanto affermato dal perito”. Oltre a “non aver compreso l’argomentazione contenuta nella consulenza dei medici legali”. “Le conclusioni della consulenza – evidenziano i giudici – sono chiarissime: viene affermato esattamente il contrario di quanto sostenuto dal gip. Non caduta/rotolamento ma caduta/precipitazione. Maria Sestina Arcuri non è rotolata sulle scale, come falsamente affermato dall’indagato e dalla nonna Mirella Iezzi, ma è precipitata dall’alto della seconda rampa di scale, superando il muretto di protezione, impattando violentemente e riportando le lesioni che l’hanno portata alla morte”.
Per i magistrati di piazzale Clodio, “Landolfi ha certamente ed evidentemente mentito, soprattuto con riferimento alla dinamica della caduta: la ricostruzione degli eventi dell’indagato è falsa”. Ma, secondo i giudici, ha “certamente mentito” anche “la nonna dell’indagato: Mirella Iezzi, le cui dichiarazioni sono certamente mendaci e frutto dell’ostinata volontà di difesa del nipote a dispetto di qualsiasi evenienza anche oggettiva”. Quel “certo, quando l’ha buttata giù…”, detto dalla signora Mirella alla madre di Landolfi e intercettato dagli investigatori, per il collegio “non può lasciar adito a dubbi circa il fatto che la nonna conoscesse perfettamente la reale dinamica dei fatti”. Ma la signora Mirella, per il Riesame, ha paura. Il nipote è infatti indagato anche per lesioni aggravate, proprio nei suoi confronti: con un pugno, quella notte, le avrebbe incrinato tre costole.
Per il collegio, al contrario, le dichiarazioni del figlio di cinque anni di Landolfi “consentono di ricostruire la dinamica degli eventi in maniera totalmente conforme alla ricostruzione della caduta operata dai consulenti”. “Un racconto chiarissimo”, seppur “semplice”, che il bambino ha fatto prima alla madre e poi agli investigatori. Un racconto “difficile cento”, come ha detto alla psicologa che gli chiedeva di classificarne la difficoltà su una scala da uno a dieci. Alla psicologa ha poi mimato la scena, che ha visto di nascosto, con un peluche di Topo Gigio: il padre ha provato ad abbracciare Maria Sestina ma lei lo ha respinto, così lui l’ha sollevata e l’ha lanciata. “Sestina gli ha dato una spinta e papà è andato di dietro – riepiloga il bambino -, tipo se faceva una capriola all’indietro. Ma papà non si è fatto niente. Ha preso la rincorsa, ha fatto un salto… pahhh, pahhh… Papà l’ha sollevata con le braccia e l’ha lanciata alla fine delle scale. Papà a Sestina l’ha lanciata. L’ha spinta nel dritto, l’ha lanciata di peso, l’ha buttata proprio. Bom. Tipo addosso al muro. Bam. Con le scale. L’ha tirata. È arrivata subito alla fine, alla fine delle scale. Non si può fermare e ha fatto (Sestina, ndr) così: Ahhh… Bhaaa… Tipo Tarzan, tipo Tarzan che fa così”. Per il bambino Sestina si è fatta male “undici”, sempre su una scala da uno a dieci. “Sestina – scrivono i giudici – non era in grado di camminare da sola ma era sorretta dall’indagato perché si era fatta molto male. Viene poi adagiata sul divano, prima di essere portata in camera da letto da Landolfi”.
Intorno alle 2,20 della notte tra il 3 e il 4 febbraio, i vicini di casa hanno detto agli investigatori di aver sentito rumore di mobili spostati, sedie che cadevano e strilla di due giovani. Una voce femminile si sarebbe lamentata in modo flebile, mentre quella maschile avrebbe ripetuto: “Zitta, stai zitta ti ho detto. Stronza, piantala”. Secondo il Riesame, “le parole percepite dai testimoni si riferivano al momento successivo alla caduta ed è significativo evidenziare come l’indagato, invece di preoccuparsi delle condizioni di salute della vittima che aveva appena lanciato, la insultasse e la esortasse a rimanere in silenzio. Probabilmente preoccupato di possibili interventi dall’esterno in aiuto della donna”. Tra le 5,30 e le 5,45, un’altra vicina racconta agli investigatori di aver sentito un ragazzo dire “non sono (nome del bimbo di 5 anni, ndr) sono Andrea”, e una voce femminile lamentarsi: “Ahi, mi fai male”. Per il collegio, “è certamente riconducibile alla fase in cui Arcuri manifesta segni di confusione mentale”. Subito dopo Landolfi avrebbe chiamato una zia che gli avrebbe consigliato di far intervenire l’ambulanza. Il 30enne chiama il 118 alle 5,56. Dalla caduta di Sestina dalle scale sono passate quasi quattro ore. Troppe. Da qui anche l’accusa di omissione di soccorso.
Presunzione di innocenza Per indagato si intende semplicemente una persona nei confronti della quale vengono svolte indagini preliminari in un procedimento penale.
Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.