Viterbo – “Allarmante spregiudicatezza, senso di impunità e spregio della vittima”, scrive il gip Savina Poli nelle tre pagine dell’ordinanza di rigetto dei domiciliari chiesti dai due ventenni che la sera dell’11 aprile hanno picchiato, stuprato e filmato una 36enne al circolo di CasaPound.
“lo non ho capito perché lei ci ha denunciato, io pensavo che lei si fosse risentita che noi avevamo ripreso l’atto”, dice al pm Riccardo Licci.
“Lei sicuramente il giorno dopo ha pensato di non essere stata trattata bene, si è sentita umiliata, forse ha visto che l’avevamo filmata… io non lo so perché mi abbia denunciato”, gli fa eco Francesco Chiricozzi.
Per il giudice “nessuna vera resipiscenza”, consapevolezza dell’errore seguita da ravvedimento. Il pentimento mostrato durante l’interrogatorio, anzi, appare “strumentale alla richiesta di alleggerimento della misura”.
“Le scuse siano pubbliche”. Così commenta invece l’avvocato Franco Taurchini, che assiste la 36enne violentata e filmata, l’11 aprile, al circolo CasaPound di piazza Sallupara, la conferma della misura di custodia cautelare a Mammagialla per Licci e Chiricozzi.
“No al processo mediatico, il parere favorevole del pm è motivato”, avverte intanto l’avvocato Marco Valerio Mazzatosta per il collegio difensivo di cui fanno parte anche i legali Domenico Gorziglia e Giovanni Labate. “Giuridicamente rispettiamo l’ordinanza del gip, ma non la condividiamo. Siamo sorpresi e perplessi, perché il pm, titolare dell’azione penale, non solo ha dato parere favorevole, ma lo ha anche motivato”, sottolinea.
“Condotta occasionale, sviluppata in un determinato contesto”
“Il parere favorevole ai domiciliari, che è dello stesso pm che aveva chiesto il carcere, è motivato”, ribadisce Mazzatosta.
“Impossibile l’inquinamento delle prove, c’è stato l’incidente probatorio. Impossibile la reiterazione del reato, la condotta è stata occasionale, sviluppata in un determinato contesto. I domiciliari, ad esempio col braccialetto, sarebbero stati più che contenitivi. Sempre di arresti si tratta, non si capisce questo accanimento nel volerli dietro le sbarre, non ci sono elementi perché due ventenni debbano restare a Mammagialla. I precedenti dei quali si parla tanto, sono due scazzottate”, conclude il difensore.
Tempi tecnici permettendo, tra settembre e ottobre è attesa la richiesta di giudizio immediato da parte della procura.
“Non basta dirsi pentiti, se si insinua che è colpa della vittima”
“Non basta un pentimento di facciata. Si scusino pubblicamente, scrivano una lettera, la facciano leggere in conferenza stampa dai loro avvocati. Non basta dirsi pentiti, se si torna a insinuare che è colpa della vittima. Loro davanti al pm hanno insistito, mentre migliaia di persone possono vedere su internet il video, con cui l’hanno definitivamente ammazzata. Lei non se lo meritava. Da casa, possono continuare a far girare il video, possono ricominciare da capo. Il carcere è garanzia”, dice l’avvocato Taurchini, spiegando il no della vittima alla scarcerazione.
I due militanti di estrema destra, espulsi dal movimento neofascista in seguito all’arresto del 29 aprile per violenza sessuale di gruppo, hanno chiesto i domiciliari dopo l’interrogatorio del 12 luglio davanti al pm Michele Adragna, che ha dato parere favorevole. Il 17 luglio il gip Savina Poli ha rigettato la richiesta.
Una guerra contro il tempo per il difensore di parte civile. “Sono soddisfatto che il gip abbia accolto la mia richiesta. Ho saputo solo all’ora di pranzo di sabato 13 luglio della richiesta di scarcerazione, avendo solo 48 ore per oppormi. Essendoci di mezzo il fine settimana, solo il 15 luglio, lunedì mattina, ho potuto dare una ‘occhiatina al volo’ ai verbali di interrogatorio, la cui copia non mi è stata consegnata. Immediatamente dopo sono corso a studio per incontrare i genitori della mia assistita e concordare con loro cosa scrivere nel parere che dovevo consegnare entro le 12,30. Non sapevo nemmeno del parere favorevole del pm”, ci tiene a spiegare Taurchini.
Silvana Cortignani
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L’ordinanza integrale del gip Savina Poli
“Allo stato resta invariato il quadro indiziario valutato nel provvedimento di applicazione della misura cautelare. Del pari non si puo ritenere che le esigenze cautelari siano venute meno o si siano attenuate in ragione degli elementi di novità posti alla base della richiesta dei difensori, Ovvero, il decorso del tempo e le dichiarazioni effettuate dagli indagati nell’interrogatorio reso dinanzi al pm il 12 luglio 2019.
Quanto al tempo – rilevato, comunque, che i fatti sono recentissimi, al pari dell’esecuzione dell’ordinanza – si osserva che l’incidenza in termini specialpreventivi di una misura, anche di quella carceraria, deve ritenersi maggiormente efficace su personalità che dimostrano una disponibilità al rispetto dell’autorità e della legge. Nel caso di specie, invece, gli elementi in atti danno contezza, per entrambi gli indagati, di personalità estremamente negative sotto questo profilo.
Entrambi, infatti, hanno carichi pendenti per fatti recentissimi commessi con violenza alla persona e, come in questo caso, tra loro in concorso (si evince, infatti, dal certificato dei carichi pendenti che si tratta dei medesimi fatti).
Il Chiricozzi risulta anche destinatario di un avviso orale del questore di Viterbo, notilicatogli il 13 aprile 2019 ed è sottoposto a procedimento penale per aver partecipato, quando era minorenne, ad una brutale aggressione nei confronti di un giovane, selvaggiamente picchiato per aver pubblicato su Facebook un post satirico nei confronti di CasaPound.
A ciò si aggiunga – sempre allo scopo di delineare la pericolosità degli indagati – che, in occasione dei fatti per cui si procede, i due hanno posto in essere una violenza sessuale di gruppo caratterizzata da reiterati abusi commessi nei confronti di una persona che, per quanto è dato apprezzare dai video e dalle foto in atti, è stata abusata, in modo violento, mentre era in palese stato di semicoscienza e derisa con insulti e minacce, anche nel momento in cui non aveva più capacità reattive c veniva manovrata, come un oggetto, dagli indagati, al solo scopo di soddisfare i loro istinti sessuali.
Come, inoltre, già ampiamente spiegato nell’ordinanza di applicazione delle misura, la violenza è stata ripresa con il telefono e le immagini della vittima sono state condivise dagli indagati con altri soggetti, i quali – ivi compreso il padre del Licci – si sono esclusivamente preoccupati di eliminarle, essendo di immediata comprensione che si trattasse di immagini relative ad un abuso, tanto che è stato manomesso anche il sistema di videosorveglianza del Pub Old Manner, dove è avvenuta la violenza.
La diffusione del video della violenza – che ha sicuramente aggravato l’offesa arrecata alla vittima – è sintomo, al pari della condotta pregressa, di allarmante spregiudicatezza e di senso di impunità, nonche palese espressione di un atteggiamento di spregio per l’altrui persona, ancora una volta trattata alla stregua di un oggetto da esibire e mortificata nella sua dignità.
E’ evidente, dunque, che si è in presenza di due soggetti che, a discapito della loro giovane età, hanno una personalità criminale di spessore e che, nonostante il loro precedente coinvolgimento in fatti di violenza, non hanno mutato condotta, arrivando anzi a commettere un fatto ancor più grave.
L’attenuazione delle esigenze cautelari non può desumersi neanche dall’interrogatorio reso dagli indagati, su loro richiesta, in data 12 luglio 2019, che nulla aggiunge alle dichiarazioni che essi avevano gia reso nell’interrogatorio di garanzia.
I due, infatti, pur pentiti, hanno continuato a sostenere la tesi – inverosimile alla luce del video in atti – secondo cui la notte dei fatti non si sarebbero resi conto dello stato in cui versava la persona offesa quando è stata da loro abusata.
Fermi restando, dunque, i diritti degli indagati di decidere di non parlare o di non autoaccusarsi nel caso in cui si sottopongano ad interrogatorio, appare palese che le dichiarazioni rese non esprimono vera resipiscenza o presa d’atto del grave fatto delittuoso di cui il Chiricozzi e il Licci si sono resi protagonisti, apparendo, anzi, strumentali alla richiesta di alleggerimento della misura, intervenuta a distanza di pochi giorni dall’interrogatorio stesso.
Che due continuino a minimizzare il fatto commesso emerge, del resto, in tutta chiarezza, dalla circostanza che entrambi, nell’ultimo interrogatorio, hanno dichiarato di non capire, ancora oggi, perché la vittima li abbia denunciati (afferma il Licci: “lo non ho capito perché lei ci ha denunciato, io pensavo che lei si fosse risentita che noi avevamo ripreso l’atto”; il Chiricozzi, a sua volta, dichiara: “Lei sicuramente il giorno dopo ha pensato di non essere stata trattata bene, si è sentita umiliata, forse ha visto che l’avevamo filmata… io non lo so perché mi abbia denunciato”).
Quanto sopra, induce a ritenere che le esigenze cautelari – che già nell’ordinanza genetica si è ritenuto potessero essere contenute solo con la
misura carceraria – non si siano attenuate rispetto al momento di applicazione di tale misura e che, dunque, non possa ritenersi adeguata
una misura meno afflittiva. Ciò vale, non solo con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, ma anche per il pericolo di inquinamento probatorio, considerato che, sebbene si sia svolto l’incidente probatorio, le indagini non risultano ancora concluse, non essendo stata esercitata l’azione penale.
La misura degli arresti domiciliari sarebbe, dunque, inadeguata stante la spregiudicatezza dimostrata dagli indagati che devono ritenersi assolutamente non in grado di attenersi a prescrizioni di carattere fiduciario e considerato che l’ambiente loro circostante li ha favoriti nella condotta di eliminazione delle prove.
Presunzione di innocenza
Per indagato si intende semplicemente una persona nei confronti della quale vengono svolte indagini preliminari in un procedimento penale.
Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Presunzione di innocenza che si basa sull’articolo 27 della costituzione italiana secondo il quale una persona “non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.
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