Viterbo – Delitto del Suffragio, oggi è il giorno della sentenza per Stefano Pavani.
Sentenza che giunge a pochi giorni dalla richiesta di condanna a 15 anni e 4 mesi da parte del pm Stefano d’Arma del 4 luglio e dalla diffusione da parte della famiglia delle immagini choc della vittima, Daniele Barchi.
E’ il 42enne originario della provincia di Salerno e cresciuto a Gaeta barbaramente ucciso nel suo monolocale al pianoterra al civico 16 di via Fontanella del Suffragio dal 32enne di Corchiano, il cui cadavere martoriato è stato ritrovato la sera del 22 maggio 2018 in seguito all’allarme lanciato dalla fidanzata dell’omicida, anche lei indagata, ma la cui posizione è ancora da definire.
Il gip Savina Poli, davanti alla quale si è celebrato il processo a porte chiuse col rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, questa mattina si ritirerà in camera di consiglio dopo le eventuali repliche del pubblico ministero.
Nel corso dell’udienza del 4 luglio, dopo la richiesta di condanna del sostituto procuratore, sono stati sentiti l’avvocato di parte civile Pasqualino Magliuzzi, che rappresenta i genitori di Daniele Barchi, e l’avvocato Luca Paoletti, difensore di Pavani, recluso nel carcere di Mammagialla da oltre un anno con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
– “Nostro figlio massacrato da Pavani, dal pregiudizio e dall’indifferenza…”
Pavani, condannato a scontare una condanna in una Rems per avere massacrato a giugno di cinque anni fa a colpi di bottiglia un sessantenne di Corchiano, che ha perso un occhio, sarebbe stato ospite di Barchi il quale, a causa della sua condotta violenta, avrebbe cercato di allontanarlo dall’abitazione, scatenando la sua furia, sfociata nel delitto.
Per i familiari: “Daniele è stato massacrato non solo da Pavani ma dal pregiudizio, dall’indifferenza e dalle tante omissioni di chi avrebbe dovuto tenere ristretto un soggetto come Pavani già giudicato più volte pericoloso”. “L’idea che il delitto sia stato consumato in un contesto di marginalità sociale e di degrado psicologico è un pregiudizio che ha condizionato tutta l’indagine”, sottolineano. “Daniele non era affatto stato abbandonato dai sui genitori, che con cadenza almeno quindicinale lo raggiungevano da Gaeta e gli fornivano tutti i mezzi economici di cui avesse bisogno”, scrive il legale dei Barchi. “Ce l’abbiamo – concludono i genitori della vittima – anche con chi ha visto Daniele pochi giorni prima del fatale epilogo con il volto tumefatto e non ha fatto nulla per aiutarlo“.
– “Pavani non voleva uccidere, non merita una condanna a 15 anni”
Il 32enne di Corchiano, al momento del delitto, sarebbe stato ricercato per essersi sottratto al ricovero in Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems).
Per il difensore Luca Paoletti si tratta o di totale vizio di mente o di omicidio preterintenzionale. “Stefano Pavani non voleva uccidere Daniele Barchi”, dice il legale. “Non sono stati i futili motivi il movente dell’aggressione, ma la sua totale infermità mentale”, sostiene. “Non si tratta di omicidio volontario aggravato come sostiene l’accusa. La morte è stata conseguenza della condotta di Pavani, sulla cui seminfermità mentale, se non totale, concordano tutti gli psichiatri che lo hanno visitato. Ma Pavani non voleva cagionare la morte di Barchi. Per questo chiedo, in subordine alla non imputabilità per totale vizio di mente, la riqualificazione del reato da omicidio volontario aggravato a omicidio preterintenzionale, con l’esclusione di tutte le aggravanti“, ha detto l’avvocato Paoletti durante la sua arringa difensiva.
Silvana Cortignani
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