Viterbo – (sil.co.) – Omicidio di Angelo Gianlorenzo, riprenderà il prossimo 27 gennaio davanti alla corte d’assise del tribunale di Viterbo il processo a Aldo Sassara.
Nel frattempo è caccia al supertestimone dell’accusa, un bracciante agricolo macedone che la mattina dell’omicidio, mentre stava dietro una siepe, sarebbe stato richiamato da urla provenienti dal terreno della vittima. Per ora se ne sarebbero perse le tracce.
Secondo uno dei testi sentiti lo scorso 16 dicembre, l’imputato non sarebbe però stato presente sul posto al momento dell’omicidio. “Lo ha visto uscire col trattore nella direzione opposta, rientrare col mezzo e ripartite col motorino – dicono i difensori – non sta emergendo alcuna prova contro Aldo Sassara, se non della sua estraneità al delitto”
Sassara è il 78enne accusato di avere fatto morire di crepacuore massacrandolo di botte il cognato 83enne, barbaramente ucciso il 14 agosto 2016 nelle campagne tra Marta e Tuscania, poco lontano dalle rive del lago di Bolsena affollate in quei giorni di vacanzieri in cerca di refrigerio al solleone, con temperature fino a 35 gradi.
Secondo la procura non può essere stato che lui, fin dall’inizio l’unico indagato, ad ammazzare la vittima nelle campagne isolate in località San Savino, dove entrambi, da anni in lite per questioni di eredità, possedevano due terreni adiacenti presso i quali si recavano tutti i giorni di buonora per governare il bestiame.
Di certo c’è che l’imputato, la mattina dell’omicidio, è stato ripreso due volte dalle telecamere della videosorveglianza, all’andata e al ritorno, mentre passava in motorino sulla strada che porta alla scena del crimine. Ma secondo quanto riferito da uno dei testimoni sentiti all’ultima udienza del processo, lo scorso 16 dicembre, non sarebbe stato sulla scena del crimine al momento del delitto.
“L’ho visto alle 7,30 che chiudeva la catena del cancello della sua proprietà e usciva col trattore”, ha spiegato l’uomo, un agricoltore 51enne di Marta, che la mattina del 14 agosto 2016 lo ha incontrato sul posto ben tre volte. “Ha preso la strada asfaltata, dalla parte opposta a quella del terreno del cognato. Ho pensato che stesse andando a finire di arare in una località dove stava lavorando anche alcuni giorni prima”, ha proseguito il teste. “Poi l’ho visto tornare col trattore e andarsene col motorino, tra le 9,30 e le 10,30, non saprei dire l’ora esatta”, ha concluso.
Un giallo ancora da risolvere la morte dell’anziano agricoltore Gianlorenzo per i difensori Marco Valerio Mazzatosta e Danilo Scalabrelli, secondo i quali gli investigatori avrebbero dovuto cercare altrove.
“Solo indizi contro Sassara, ma nessuna prova”, dicono da sempre i due legali, appellandosi anche alle risultanze dei rilievi della scientifica. Niente sotto le unghie dell’imputato e della vittima, niente sotto i cingoli del trattore sequestrato al 77enne, niente sul famoso portachiavi dello scooter del 78enne nonostante le tracce compatibili col sangue abbiano lì per lì fatto pensare a una soluzione vicina del dilemma.
“Era davvero sangue, ma del nostro assistito, non del cognato, quindi non vuol dire niente”, hanno sottolineato in aula Scalabrelli e Mazzatosta, facendo notare al tribunale che a suo tempo furono sequestrati per quasi un anno solo il casale, le stalle e i mezzi dell’imputato. “Col bestiame dentro, fatto morire di fame, di sete e di stenti, mentre nessuna sequestro è stato effettuato della scena del delitto, dove è stato subito dato il è permesso di spostare gli animali e perfino di battere il terreno”, hanno detto anche all’ultima udienza.
Prova regina, per il pm Massimiliano Siddi, resta quel gilet tra il color panna e il nocciola indossato da Sassara la mattina presto mentre va in campagna sotto gli occhi delle telecamere, ma non al ritorno, sempre spiato dalla videosorveglianza incrociata strada facendo. Un gilet cercato inutilmente dai carabinieri a casa di Sassara e nel fiume Marta dai militari del nucleo sommozzatori dell’arma.
Per l’accusa se ne sarebbero perse le tracce per via delle tracce compromettenti a carico dell’omicida. Per l’accusa, l’imputato se ne sarebbe disfatto dopo il delitto, prima di essere rintracciato e catturato al termine di una imponente caccia all’uomo.
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