Viterbo – “La bimba settimina trovata cadavere il 2 maggio 2013 in un cassonetto era viva e in salute al momento della nascita”.
Lo ha ribadito più volte il pubblico ministero Franco Pacifici, secondo cui in un altro contesto sarebbe forse sopravvissuta, citando i professori Mauro Bacci e Massimo Lancia all’udienza di ieri del processo all’infermiere Graziano Rappuoli.
Per il pm sono già prova più che sufficiente le relazioni di Bacci (il medico legale che ha effettuato l’autopsia sul cadaverino) e di Lancia (uno dei consulenti dell’incidente probatorio durante il processo col rito abbreviato alla madre). Per la difesa potrebbe non essere stato un aborto al settimo mese di gravidanza indotto da un farmaco anti-ulcera, ma un parto precipitoso naturale finito in tragedia.
Adesso la parola passa a tre superesperti, che dovranno esprimersi sugli effetti del Cytotec. Ieri finalmente il conferimento dell’incarico, a distanza di oltre un anno da quando è stato dato l’okay alla perizia collegiale. Un ritardo dovuto anche alla quarantena e alle successive prescrizioni dovute alla pandemia di Covid-19.
A distanza di quasi quattro anni dall’inizio del processo – la cui sentenza, comunque vada, avrà valenza nazionale – resta sempre aperto il dibattito sulla responsabilità o meno dell’operatore sanitario sessantenne originario di Tuscania che dal 24 febbraio 2017 è a giudizio davanti alla corte d’assise presieduta dal giudice Ettore Capizzi, Giacomo Autizi a latere, con l’accusa di omicidio volontario, occultamento di cadavere e esercizio abusivo della professione medica. Reati per cui rischia l’ergastolo.
Rappuoli sarà interrogato il prossimo 8 febbraio e per quella data si cercherà di rintracciare anche la madre oggi trentenne della vittima, cui l’uomo ha procurato la ricetta falsificata di un farmaco abortivo dandole poi un passaggio in ospedale quando le è venuta una emorragia, durante il quale si è disfatta del corpo della piccina gettandolo nel cassonetto.
L’infermiere è accusato di omicidio e occultamento di cadavere in concorso con Elisaveta Alina Ambrus, madre all’epoca 23enne della piccina nata prematura e abbandonata tra i rifiuti in via Solieri al Salamaro il 2 maggio 2013.
La donna, d’origine romena già madre di un bambino nato nove mesi prima, a gennaio scorso veniva data ancora per reclusa in un carcere londinese, dove starebbe scontando la condanna definitiva a cinque anni. All’epoca 23enne e ballerina in un night, ha fatto perdere le sue tracce a novembre di sette anni fa, andandosene definitivamente dall’Italia, una volta finiti di scontare sei mesi di carcere preventivo tra Civitavecchia e Rebibbia.
Ambrus è stata condannata in via definitiva a cinque anni per feticidio, dopo la riqualificazione del reato ottenuta in appello dal difensore Samuele De Santis, che assiste anche l’infermiere.
L’accusa: “La piccina è nata sana e ha respirato”
Nessun dubbio per Pacifici che la secondogenita della donna, anche se settimina, sia nata assolutamente sana e abbia respirato. “La verità processuale c’è già. La prova sta nella fotografia del polmone che si è espanso. Quando ha superato il canale del parto era viva. La piccina, anche se prematura, non aveva alcuna patologia. Se fosse nata in ospedale e avesse avuto trattamenti sanitari adeguati, avrebbe potuto salvarsi”.
Sollecitata dal difensore De Santis, la corte d’assise ha disposto una superperizia sugli effetti collaterali del Cytotec, il farmaco per lo stomaco usato negli aborti clandestini in quanto sarebbe in grado di indurre le contrazioni.
Ieri sono stati nominati il medico legale Giancarlo Carbone, il ginecologo Marco Sani e il tossicologo Alfio Cimino, che dovranno riferire in aula il prossimo 23 febbraio. Ma sui quesiti è battaglia tra accusa e difesa.
La difesa: “Il feto potrebbe avere sbattuto sul gabinetto”
Per De Santis il “peccato originale”, che inficia entrambe le perizie, è che mancano i dati tossicologici relativi alla presenza di tracce di Cytotec sia sul feto che sulla madre. “Per quanto ne sappiamo, inoltre, il feto potrebbe avere sbattuto sul water durante l’espulsione, visto che la madre ha partorito in bagno”.
I superperiti riferiranno davanti alla corte d’assise il 23 febbraio e in quella data potrebbero essere presenti in contraddittorio anche i consulenti di parte della difesa.
Cimino, Sani e Carbone, tenendo conto dell’autopsia sul cadavere della piccina e della cartella clinica della madre, dovranno dire a quale dosaggio e in quali tempi il Cytotec possa indurre un parto prematuro. Se nel caso specifico possa essersi trattato di un parto prematuro naturale o di un parto precipitoso a prescindere dalle quattro pasticche di Cytotec che la donna disse di avere assunto durante il ricovero a Belcolle. Se la morte della piccola poteva essere evitata in caso di nascita in regime ospedaliero e non nel bagno dell’abitazione che la madre condivideva con un’altra ballerina di night in via Maria Santissima Liberatrice. Se il “tumore da parto”, il trauma alla testa, sia stato provocato dalla scarsa dilatazione o possa derivare da una caduta del feto nel gabinetto.
“Una cosa è dire che il feto è nato vivo, altro dire che se fosse nato in ospedale sarebbe sopravvissuto – ha sottolineato il difensore dell’infermiere – è una valutazione, così come dire che il Cytotec è causa della morte. Il tumore da parto è il segno di un trauma alla nascita, ma il feto potrebbe avere sbattuto la testa cadendo nel water durante un parto precipitoso”.
Silvana Cortignani
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