Operazione Erostrato - Il collegio tornerà nel pomeriggio al palazzo di giustizia del Riello per gli altri testi - Al centro delle domande dell'accusa la vicenda che ruota attorno all'imputato Manuele Pecci
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 Il pentito Sokol Dervishi  Mafia viterbese – Udienza a Mammagialla  Mafia viterbese – Udienza a Mammagialla  Mafia viterbese – Udienza a Mammagialla  Mafia viterbese – Udienza a Mammagialla |
Viterbo – (sil.co.) – Mafia viterbese, questa mattina udienza straordinaria del collegio nel carcere di Mammagialla. Servirà per sentire il pentito 34enne d’origine albanese Sokol Dervishi, che sarà collegato in videoconferenza con la casa circondariale sulla Teverina dall’istituto di pena dove è attualmente recluso. Dervishi è il collaboratore di giustizia che ha confessato tutto al pubblico ministero Fabrizio Tucci, titolare dell’inchiesta col procuratore antimafia Giovanni Musarò.
Tutti a Mammagialla. Era già successo lo scorso 9 marzo in occasione dell’udienza di ammissione delle prove del processo a Ionel Pavel, Manuele Pecci e Emanuele Erasmi, appena due giorni prima che scattasse la quarantena su tutto il territorio nazionale.
Dervishi, ex braccio destro dei boss Giuseppe Trovato e Isamil Rebeshi, a capo del sodalizio criminale italo-albanese sgominato con il blitz antimafia della Dda di Roma del 25 gennaio 2019, è stato condannato lo scorso 11 giugno in primo grado a una pena di sei anni dal gip Emanuela Attura del tribunale di Roma, con lo sconto di un terzo dell’abbreviato e tenuto conto della sua collaborazione.
A quell’udienza era presente, collegato in videoconferenza, il boss Rebeshi che a un certo punto ha sentito la necessità di esprimere tutta la sua avversione nei confronti dell’ex pupillo diventato pentito. E’ successo quando l’avvocato Giuseppe Di Renzo, difensore del boss Trovato, parlando di lui lo ha confuso con il collaboratore di giustizia. “Ho sentito l’avvocato Di Renzo che per sbaglio ha nominato il nome del pentito, ha chiamato Rebeshi per ben due volte, perciò voglio che non si fraintenda nessuno. Rebeshi non è un collaboratore, il collaboratore è Dervishi”.
L’udienza riprenderà dopo la pausa pranzo nel pomeriggio, quando il collegio farà rientro al palazzo di giustizia del Riello per sentire gli altri testimoni previsti per la giornata. Al centro la vicenda che ruota attorno all’imputato Manuele Pecci, dopo la disanima, nelle udienze precedenti, dei fatti relativi alla discoteca Theatrò e alla presunta estorsione ai danni di un imprenditore del Poggino che hanno fatto salire sul banco degli imputati anche Ionel Pavel e Emanuele Erasmi, cui anche viene contestata l’aggravante del metodo mafioso.
“Una merda, tu fammelo vedere a me… “
La vittima di Pecci, titolare di un salone di bellezza in zona San Faustino frequentato da Trovato,, avrebbe dovuto essere picchiata e rapinata dell’incasso dagli “sgherri” del sodalizio all’esterno del suo locale, un ristorante nell’immediata periferia del capoluogo, per convincerla a rinunciare all’azione legale che voleva intraprendere contro l’imputato per una prestazione estetica riuscita male.
Secondo il piano, sventato dai carabinieri che hanno intercettato la vettura con a bordo i sodali, avrebbero dovuto colpirlo con dei pugni al setto nasale e con martellate alla testa, dopo essersi travisati i volti con passamontagna e cappucci, utilizzando due martelli per l’aggressione fisica.
Pecci si sarebbe lamentato con Trovato delle risposte “irriguardose” della vittima alla proposta di chiudere Il contenzioso con 180 euro. “Sì, sì una merda.. tu non ti preoccupare, fammelo vedere a me”, gli risponde Trovato, che poi in una conversazione intercettata con uno della banda dice di avere contattato personalmente al telefono l’avvocato della vittima per risolvere la questione: “Mi ha detto ‘no, non lo picchiate'”.
Il patto dei boss del sodalizio nato al night di via della Palazzina
Nel corso del primo interrogatorio reso in data 7 ottobre 2019, Dervishi ha espresso la sua volontà di collaborare con l’autorità giudiziaria per il pieno accertamento dei fatti in contestazione. Ha chiarito di conoscere Rebeshi fin dall’Albania, provenendo dalla stessa città e ha precisato che fu Rebeshi a convincerlo a trasferirsi da Padova a Viterbo.
Nel 2016, dopo un periodo di allontanamento, ha ripreso i rapporti con Rebeshi, che aveva aperto il Range Club di via della Palazzina. In quel periodo anche Giuseppe Trovato frequentava Rebeshi e così lo conobbe. Il Range era frequentato anche da Gazmir Gurguri.
Ha ammesso di essere stato all’inizio la persona di fiducia cui si era rinvolto Trovato per gli attentati contro i concorrenti esercenti attività di compro oro e che, successivamente , si sono aggiunti Spartak Patozi e nell’ultimo periodo anche Shkelzen Patozi.
Ha precisato che intervenne un accordo tra Trovato e Rebeshi in forza del quale Trovato aiutava Rebeshi a controllare il mercato della droga a Viterbo e in cambio Rebeshi, con i suoi uomini, aiutava Trovato a incendiare i negozi e le auto dei concorrenli nel settore del compro oro, così da controllare il mercato.
Sempre Dervishi ha affermato che Trovato era la mente del gruppo e che diceva che voleva controllare il territorio, nel senso che le persone del vilerbese avrebbero dovuto rivolgersi a lui per qualsiasi cosa, portandogli rispetto.
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