Viterbo – Quasi 600 epigrafi. Lapidi senza corpi. Sui muri del cimitero San Lazzaro. La Spoon River di Viterbo, tra XIX e XX secolo. Come l’Antologia di Edgar Lee Masters o l’album di Fabrizio De André. Dimenticata ma ferma lì. Rischia di scomparire, mentre andrebbe salvata. Racconta una storia, quella della città. Con qualche sorpresa. Garibaldini, arditi e un ragazzo ucciso per rappresaglia dai nazisti.
Un racconto. Vero e proprio. Le vite degli altri. 584 lapidi ancora intatte. Qualcuna è caduta, qualcun’altra s’è persa.
Viterbo – La Spoon River del cimitero San Lazzaro
Un patrimonio biografico. Medici, architetti, maestre, carabinieri, poliziotti, chimici, artisti, pittori, vigili del fuoco, presidenti dell’ordine degli avvocati, nobili, industriali, operai e contadini.
Inoltre, 5 garibaldini, un paio di arditi del popolo, che tra il 1921 e il ’22 si contrapposero armi in pugno ai fascisti, due vittime dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e un giovanissimo volontario diciassettenne morto nella guerra del ’15-’18 una manciata di giorni dopo che era terminata. Infine un ragazzo ucciso a Viterbo dai nazisti per rappresaglia l’8 ottobre del 1943, un mese dopo l’8 settembre, l’inizio della guerra civile e partigiana contro tedeschi e fascisti.
Viterbo – La Spoon River del cimitero San Lazzaro
Non da ultimo, su quelle lapidi ci sono i primi ritratti fotografici della storia. E in alcuni casi anche il nome del fotografo che li ha realizzati. La storia della fotografia è iniziata da poco. Siamo alla fine dell’ottocento. E quegli scatti sono i primi passi di qualcosa che cambierà per sempre l’immagine che ognuno avrà del mondo e di ciascuno. Una storia raccontata in fondo al San Lazzaro. Dove “ritrarre” qualcuno significa pure, in qualche modo, portarlo via, trarlo indietro, dalla morte. E da un oblio che su quei muri si fa invece memoria.
Viterbo – Il garibaldino Luigi De Franchis
Viterbo – L’epigrafe in ricordo dei garibaldini uccisi a Porta della Verità
“Qui il popolo viterbese – sta scritto su una lapide del 1881 – ritoltele all’oscuro sepolcro, volle più onoratamente riposte le ossa gloriose di Luigi De Franchis, maggiore dell’esercito nazionale poi nelle schiere garibaldine che la notte del 24 ottobre 1867 espugnarono la porta San Matteo difesa dalle armi pontificie come uno dei trecento alle Termopile per l’Italia cadde ucciso”.
Viterbo – Un ritratto della Spoon River del San Lazzaro
Un’altra lapide ricorda l’evento. Questa volta dove De Franchis, assieme a Gioacchino Alluminati, trombettiere, e Manetto Niccolini dell’ordine dei serviti, vennero assassinati. Porta della Verità, un tempo porta San Matteo. Tre anni dopo la morte, lo stato pontificio cadde e le truppe italiane nel settembre del 1870 entrarono a Roma. De Franchis, sepolto probabilmente come un bandito, venne spostato al cimitero San Lazzaro. Per dargli degna sepoltura.
Viterbo – Un ritratto della Spoon River del San Lazzaro
“Ahi forse prode – sta scritto infine sulla lapide che ricorda De Franchis – sospiravi più dolce riposo nella terra natale! Ma qualunque terra agl’incliti è ottima dove si muore per la libertà”.
Viterbo – Il garibaldino Giuseppe Fortini
Gli altri garibaldini sono Ludovico Pontiroli Gobbi (1910), Giuseppe Fortini (1920) e Gregorio Borghesi, quest’ultimo morto nel 1883 dopo aver combattuto le guerre di indipendenza del 1848-49, partecipò dunque alla repubblica romana di Mazzini, Saffi, Armellini e Garibaldi, del 1859, 1860-61 e 1866.
Viterbo – Il garibaldino Giuseppe Fortini
C’è anche Angelo Papini, morto nel 1922, “costante esempio di democrazia pura” che “combatté volontariamente nelle guerre del 1866, del 1867, del 1870 e del 1915. Tutta la vita intemerata consacrò al lavoro, alla famiglia, alla patria”.
Viterbo – L’ardito del popolo Antonio Tavani
Ricordati sul muro del San Lazzaro, e uccisi durante gli scontri con i fascisti tra il 1921 e il 1922, anche Antonio Tavani (1922), “vigliaccamente assassinato per mano faziosa a 25 anni”, la cui memoria, insieme a quella di altri arditi viterbesi, è stata recentemente celebrata grazie a un’iniziativa dello storico Silvio Antonini. C’è pure Tommaso Pesci, “quarantacinquenne agricoltore integerrimo, ottimo padre di famiglia, socio della cooperativa agricola G. Toniolo, spento da brutale violenza il 10 luglio 1921”.
Viterbo – Tommaso Pesci ucciso negli scontri del 1921
Le vittime dei bombardamenti aerei che colpirono la città di Viterbo nel 1944 sono Francesco Mogliazzi e Rinaldo Tonon. Ucciso da un mitragliamento aereo anche Adriano Gevi, un militare. Questa volta a Roma, il 10 ottobre 1943, lungo la linea ferroviaria.
Viterbo – Rinaldo Tonon ucciso durante i bombardamenti del 1944
Valerio Pallucca fu invece assassinato dai nazisti l’8 ottobre 1943. “Nel fiore degli anni – riporta la lapide che lo ricorda – vittima innocente di rappresaglia tedesca, cadeva colpito da arma micidiale, lasciando i genitori, i fratelli e le sorelle nel più profondo dolore”. Valerio Pallucca, quando venne ucciso, aveva solo 17 anni. Come Roberto Sandri Bontempelli, volontario nella prima guerra mondiale. Morto il 9 novembre 1918. A guerra finita, appena 5 giorni prima.
Viterbo – Valerio Pallucca diciassettenne ucciso dai nazisti nel 1943
Tra le persone oggi ricordate solo dalle lapidi al San Lazzaro pure un vigile del fuoco morto mentre lavorava, Enrico Massantini, il chimico e pittore Felice Folchi (1885), l’agente di polizia Mario Di Mario, ucciso in servizio nel 1898, e il sacerdote del carcere di Santa Maria in Gradi, don Giovanni Olivieri, morto nel 1944. Un sacerdote che nel carcere di massima sicurezza vide passare i detenuti antifascisti, conobbe probabilmente Emilio Sereni e Altiero Spinelli, assistendo infine alla deportazione degli ebrei viterbesi diretti verso i campi di sterminio nazisti del nord Europa.
C’è poi Adelaide Fedeli, 19 anni, “maestra e studentessa universitaria”. Quando le donne non avevano ancora il diritto di voto, la famiglia di questa ragazza volle ricordare a tutte e a tutti un’importante conquista. Il diritto allo studio, anche per le donne.
Viterbo – Cesare Pinzi
Tra le lapidi del muro, ce n’è pure una che ricorda Cesare Pinzi, importante storico viterbese, che “porse alla città natale – sta scritto – affetto, servigi, decoro. Le millenarie storighe vicende acutamente indagate in eletta forma ne scrisse si che nei secoli vivrà col nome di Viterbo eterna la sua chiara memoria”.
Viterbo – Adelaide Fedeli “studentessa universitaria”
Infine, Scipione Massarelli, nato nel 1813 e morto nel 1879. Una lapide, la sua, decisamente interessante. Per il motivo che riporta e la storia cui si collega. Storia di una borghesia risorgimentale viterbese le cui tracce sono ancora vive e presenti nel tessuto urbano della città.
Viterbo – Scipione Massarelli della società operaia
Il testo che ha accompagnato Massarelli nell’al di là è il seguente: “Nei domestici negozi, negli uffici della città e della società operaia, solerte, onesto, schietto, coraggioso. Non dimentico mai della fede succhiata col latte la conservò solennemente nel letto di morte ricevendo con rara pietà i santissimi sagramenti”. Probabilmente un mazziniano che assieme al padre Giovanni, capomastro, partecipò prima, nel 1844, alla ricostruzione della chiesa di Santa Rosa e nel 1849 ai disordini nella città di Orte, quando a Roma i mazziniani avevano cacciato il papa e proclamato la Repubblica. E a Viterbo, nello stesso anno, dentro al bar Schenardi aveva sede un circolo anarchico, anch’esso d’ispirazione mazziniana.
Viterbo – Adelaide Fedeli “studentessa universitaria”
Tracce di una città diversa da quella che ti aspetti. Segni sparsi un po’ ovunque. Dal profferlo in via dell’ortaccio al balconcino di palazzo Calabresi in via Roma con la Madonna di Pietro Vanni che dipinse anche la morte di Raffaello. Passando infine per pratogiardino dove il busto di Mazzini, voluto proprio dal circolo operaio di Viterbo nel 1891, anticipa quelli di Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele. Sullo sfondo rispetto a quello di Mazzini, a sottolineare l’importanza di quest’ultimo per Viterbo. Oppure per il liberty di viale Trieste, riconducibile a sua volta a un pensiero politico radicale, o il teatro dell’unione, fatto costruire dall’alleanza di 70 imprenditori vicini a quelle idee.
Viterbo – Valerio Pallucca diciassettenne ucciso dai nazisti nel 1943
Detto ciò, come tanti all’epoca, sul letto di morte Massarelli pare ritornasse all’ovile. Quando lo stato pontificio non c’era più e dei mazziniani si poteva anche fare a meno. Un ritorno all’antica “fede succhiata col latte” rimarcata con un epitaffio che, forse, sta a dire il contrario. Che quel ritorno da parte di Massarelli non c’è mai stato, figlio solo della volontà e della paura di chi gli è sopravvissuto. In una città diversa da come molti se l’aspettavano.
…ad Antonello, infine, per tante cose belle. E a Luciano, in sua memoria. “Oh, the wind, the wind is blowing,/ through the graves the wind is blowing,/ freedom soon will come;/ then we’ll come from the shadows” (Leonard Cohen, The Partisan).
Daniele Camilli
Fotogallery: San Lazzaro, la Spoon River della città
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