Tuscania – Omicidio di Angelo Gianlorenzo, per la difesa il presunto assassino la mattina del delitto stava lavorando sulla sua terra col trattore. Era la vigilia di ferragosto di quattro anni fa.
Era il 14 agosto 2016 quando il corpo dell’agricoltore 83enne Angelo Gianlorenzo fu trovato senza vita dal figlio in località San Savino, nelle campagne tra Marta e Tuscania. Fin dal primo momento i sospetti ricaddero sul cognato, Aldo Sassara, oggi 78enne, per via di vecchi dissapori di natura economica.
Quella mattina l’uomo, imputato di omicidio volontario davanti alla corte d’assise presieduta dal giudice Maria Rosaria Covelli, si era recato anche in lui in campagna, in un terreno adiacente a quello della vittima. Ripreso dalla videosorveglianza sia all’andata che al ritorno, verso le 11,30, si sarebbe cambiato d’abito. Fu rintracciato nel pomeriggio in un oliveto di sua proprietà a Capodimonte.
A suo tempo il pm Massimiliano Siddi, convinto della colpevolezza, chiese l’arresto, rigettato dal gip Stefano Pepe. A carico di Sassara, che si è sempre proclamato innocente, al di là del possibile movente e dei filmati delle telecamere, non sono emerse prove di natura scientifica.
“Sono sicuro, era il trattore di Sassara”
L’ultimo testimone del processo, un agricoltore 53enne di Marta citato dagli avvocati Marco Valerio Mazzatosta e Danilo Scalabrelli, ieri ha ribadito più e più volte, senza mai tentennare, di avere visto il trattore di Sassara lavorare sul suo terreno, distante diverse centinaia di metri dalla scena del crimine, come sempre sostenuto dall’imputato. Lo scorso 28 settembre, l’ultimo testimone dell’accusa, un altro agricoltore, aveva invece escluso che quella mattina l’imputato si fosse recato ad arare.
“Saranno state le 9-9,30, comunque prima delle dieci, perché d’estate a quell’ora smetto per via del caldo. Non ho visto chi era alla guida, ma era sicuramente il Landini 130 di colore celeste con la cappotta di Sassara”, ha spiegato, descrivendo il trattore.
Nessun ripensamento, nonostante sia stato a lungo contestato sia dagli avvocati delle parti civili (Giovanni Bartoletti, Corrado Cocchi e Francesco Bergamini), sia dal pm Massimiliano Siddi, secondo i quali in quella zona c’erano almeno altri due trattori uguali, uno dei quali della vittima, il cui terreno è adiacente a quello dell’imputato.
“Sì, ma quello di Gianlorenzo ha la cabina e una pala laterale, per renderlo uguale gliele avrebbe dovute togliere e avrebbe dovuto metterci la cappottina”, ha commentato. Nessun dubbio nemmeno che il mezzo fosse sulla proprietà dell’imputato. “Sono sicuro che fosse il trattore di Sassara e di averlo visto prima delle 10 sul suo terreno”, la conclusione.
Vittima uccisa dalle botte e dall’infarto
Gianlorenzo massacrato di botte e morto d’infarto, nessun confronto tra i medici legali delle parti. Difesa e parti civili hanno rinunciato ai propri consulenti, per cui è stata sentita soltanto la dottoressa Mariarosaria Aromatario. Per lei è stato “il fenomeno nel suo complesso” a provocare la morte della vittima.
Un testimone ha detto di avere sentito due voci maschili che discutevano, dei rumori tipo colluttazione e poi ansimare per una decina di minuti. “Non so se un intervento medico tempestivo avrebbe potuto impedire la morte – ha osservato la consulente – se non fosse stato l’infarto, sarebbe stata l’asfissia, a causa della compressione dovuta allo sfacelo toracico”. La vittima fu trovata col torace fracassato, secondo il medico mentre era già a terra, dopo essere stata colpita alla testa e avere riportato la frattura di due vertebre.
La difesa ha chiesto se lo “sfacelo toracico” possa essere l’esito di un massaggio cardiaco maldestro posto in essere da qualcuno che, trovando il corpo esanime, ha provato a rianimarlo. “Non è questo il caso, ogni costa risulta fratturata in più punti”, la risposta. Relativamente alla prestanza fisica che avrebbe dovuto avere l’aggressore per porre in essere un tale massacro, invece, ha commentato: “Sono stati inferti colpi multipli, bisognerebbe sapere quali fossero le capacità di difesa della vittima, forse già svenuta prima di agonizzare”.
Nessun riscontro scientifico
Nessun riscontro scientifico a carico del 78enne. Né dai campioni prelevati sotto le unghie al momento del fermo. Né dall’esame del suo corpo per vedere se avesse graffi o altri segni di lotta. Né dal raffronto del Dna coi reperti sequestrati. Né dalla ricerca di sangue del presunto assassino mescolato al sangue della vittima. Né dai suoi attrezzi passati al luminol. Né dal motorino passato al setaccio dal Ris. Né dall’esame ematico e dattiloscopico sulle banconote vicino al cadavere. Niente sulla canottiera, sui pantaloni, sulle scarpe che indossava al momento del fermo. Nessuna traccia riconducibile all’efferato delitto. Nessuna traccia nemmeno dell’arma del delitto. Si era pensato a una grossa tegola, un tavellone, con dei peli sopra, ma erano peli di animali. Si è pensato a un grosso sasso, ma sulla scena del crimine non è stato individuato.
Il 23 novembre la discussione
L’imputato, gravemente malato, non ha potuto prendere parte alle ultime udienze del processo e difficilmente potrà essere presente il giorno della sentenza. La discussione è stata fissata per il 23 novembre e in quella data potrebbe essere emessa anche la sentenza. “Un processo indiziario, ma dall’impianto accusatorio solido”, per il pm Massimiliano Siddi. “Si è indagato in una sola direzione, quella indicata dal figlio della vittima”, secondo la difesa.
Silvana Cortignani
Video: Omicidio di Tuscania – I Ris in località Castellaccio
Fotocronaca: I Ris sul luogo del delitto – slide
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