Uganda – Dimentichiamo per un attimo le giraffe alte, con il collo slanciato e le gambe lunghissime. Quelle individuate in Africa sono completamente diverse: sono due rarissimi esemplari di giraffe nane, talmente uniche dall’aver spiazzato anche gli scienziati. “È affascinante quello che hanno scoperto i nostri ricercatori sul campo – ha detto alla Reuters Julian Fennessy, co-fondatrice della Giraffe Conservation Foundation – . Siamo rimasti molto sorpresi”.
Gimli e Nigel – Le due giraffe affette da nanismo
Le adorabili Gimli e Nigel sono bassine e hanno le gambe tozze. Alte circa 2,7 metri, le due giraffe nane hanno una stazza circa la metà dei loro simili: sarebbero alte poco più di un cavallo. Gimil è stata avvistata per la prima volta nel 2015 nel Murchison Falls National Park Safari in Uganda e Nigel nel 2018 è stata trovata in una fattoria privata nel centro della Namibia.
Di recente, uno studio ne ha calcolato le dimensioni esatte, rivelando che i due esemplari sono affetti da nanismo: entrambe le giraffe sembrano essere affette da displasia scheletrica, una rara malattia genetica che causa nanismo e altri disturbi dello sviluppo. Le displasie scheletriche influenzano lo sviluppo e la crescita della cartilagine, delle ossa e delle articolazioni, causando ossa di forma anomala, soprattutto nella testa, nella colonna vertebrale e nelle ossa lunghe delle braccia e delle gambe.
GCF researchers recently spotted 2 dwarf giraffe in Namibia & Uganda. These giraffe had shorter legs compared to others of similar age. This is the first description of dwarf giraffe, which shows how little we know about these iconic animals https://t.co/XmPFGQDIYi @BMC_series pic.twitter.com/zighmCXTqm
— Giraffe Conservation Foundation (GCF) (@Save_Giraffe) January 3, 2021
Secondo una dichiarazione della Giraffe Conservation Foundation, questa è la prima volta che tale condizione è documentata nelle giraffe in cattività o selvatiche. “Animali selvatici con questi tipi di displasie scheletriche sono straordinariamente rare”, ha detto l’autore principale dello studio, il biologo della conservazione Michael Brown.
Gli scienziati hanno pubblicato i loro risultati a dicembre sulla rivista BMC Research Notes.
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