Viterbo – “Questa carta nazionale sta nel cassetto da 5 anni. Quello che non trovo corretto è che si diano solo 60 giorni agli stakeholder per fare delle osservazioni. La pubblicazione della carta resta comunque un passaggio obbligato”. Massimo Scalia è tra i padri dell’ambientalismo scientifico e il fondatore di Legambiente. Fisico matematico con una cattedra alla Sapienza di Roma, Scalia è stato il primo presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e uno dei principali organizzatori delle battaglie contro il nucleare che, a partire da Montalto di Castro negli anni ’70, hanno portato ai referendum del 1987 e del 2011.
Il fisico matematico Massimo Scalia
La questione è quella del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e nucleari con le aree idonee individuate dal governo e rese note una settimana fa. Tra queste anche diverse zone in 8 comuni della Tuscia. Ieri l’incontro organizzato dalla provincia di Viterbo.
Deposito scorie radioattive – Le aree idonee nel Viterbese
Professor Scalia, cosa ne pensa del deposito nazionale di rifiuti radioattivi e nucleari?
“Che si debba fare un deposito nazionale lo dico da tempo”.
E secondo lei le aree idonee ad ospitarlo andavano comunicate in questa maniera, di punto in bianco, dando poi un ristretto margine di decisione alle comunità locali?
“Questa carta nazionale sta nel cassetto da 5 anni. Quello che non trovo corretto è che si diano solo 60 giorni agli stakeholder per fare delle osservazioni. La pubblicazione della carta resta comunque un passaggio obbligato. Inoltre il deposito nazionale è previsto, e secondo me ragionevolmente, è previsto innanzitutto dalla normativa europea. Infine, in Italia ad oggi c’è una geografia abbastanza diffusa dei rifiuti radioattivi e nucleari ed è bene che invece se ne recuperi il controllo in un unico sito nazionale. Si parla poi di un deposito a bassa e media attività”.
Che significa deposito a bassa e media attività?
“Significa che quasi il 90% di quello che andrà a finire nel deposito nazionale è lo smantellamento degli impianti nucleari. Ci sono anche i rifiuti sanitari che però costituiscono un insieme minore. La parte però più consistente saranno i pezzi provenienti dalle centrali. Caldaie, tubazioni, pezzi di reattore, cementi contaminati e altro ancora. Tutta questa roba va smantellata, fatta a pezzi, bidonata in maniera opportuna e ogni ‘confezione’, chiamiamola così, di rifiuti radioattivi che ne viene fuori deve avere una vita media non superiore ai 30 anni. E se la vita media è di 30, ciò vuol dire che da qui a dieci anni la radioattività si è ridotta a quella del suolo. Dunque il deposito nazionale deve custodire queste scorie per 300 anni, passati i quali non c’è più bisogno di custodirle perché la radioattività è stata ridotta al lumicino, di fatto non c’è più”.
Scorie nucleari
Che impatto ambientale avrebbe sul territorio un deposito del genere?
“Un sito ben fatto ha un impatto molto basso”.
Dal punto di vista dell’immagine, invece l’impatto quale sarebbe?
“Sarebbe rilevante. La carta pubblicata ha seguito dei criteri tecnici rigorosi. Bisogna però anche vedere il contesto sociale e culturale che caratterizza un territorio. E’ ovvio che ognuno dirà che la sua area è preziosissima e non si può fare niente. Però ci sono delle differenze, da territorio a territorio. Ci vuole infatti non solo il criterio tecnico, doveroso e necessario, ma bisogna allargare la visione anche a un contesto più ampio”.
E la Tuscia ha un contesto storico, artistico e ambientale di tutto rispetto…
“La Tuscia la conosco benissimo. Da 40 anni. E per me è anche un luogo molto caro, per le battaglie contro il nucleare che ho vissuto direttamente. In Italia è complicato non invocare le peculiarità paesistiche. Il nostro paese è tutto bello. Quando facemmo la battaglia contro il nucleare, noi approfondimmo e rispondemmo punto per punto ad ogni aspetto della vicenda. A partire dalle analisi che erano state fatte sul sito dove doveva sorgere la centrale, a Montalto di Castro. Ad esempio, ci concentrammo sugli aspetti sismici della zona. Per quanto riguarda il deposito, adesso bisogna vedere sito per sito le analisi che sono state condotte e fare le osservazioni alla Sogin. Entro 60 giorni. Anche se 60 giorni, lo ripeto, sono pochi. Ce ne vorrebbero di più. Dopodiché cercherei motivazioni molto di merito su come viene fatto il deposito e su come è stato scelto. Tenuto conto che tutti i siti individuati sono in posti belli e tutti possono invocare la peculiarità del proprio territorio. Ad esempio, per quanto riguarda l’aspetto sismico, a Fukushima l’incidente nucleare c’è stato non per il terremoto, ma perché il terremoto ha fatto crollare la linea elettrica. Non so se è chiaro. L’edificio ha resistito divinamente. Le scelte sono sempre complicate e mai semplici. Un deposito è un oggetto del tutto gestibile in sicurezza e qualora ci fosse un terremoto non gli succederebbe niente. Anche in Italia si possono costruire edifici anti sismici alla grande.
Quindi, come si dovrebbero muoversi comunità locali e istituzioni per fare le giuste osservazioni?
“Le motivazioni dei comitati e delle istituzioni di solito sono storiche e tradizionali. Dalle battaglie del passato sono passati più di 40 anni. Adesso bisogna lavorare di fino e avere argomenti piuttosto forti”.
Deposito scorie radioattive – Lo stoccaggio
Leggendo la normativa riguardante il deposito nazionale, l’impressione che si ha è che le comunità locali abbiamo un ruolo marginale. Soprattutto dal punto di vista decisionale. Sembra che il loro ruolo sia più che altro consultivo, e basta. Secondo lei è così?
“Questo è un argomento importante. Le comunità locali devono essere coinvolti nel processo che porta alla decisione su dove fare il deposito nazionale. E le popolazioni devono essere informati attraverso una serie di passaggi che in qualche modo sono previsti. Passaggi che si devono completare in capo a un anno. E ogni decisione deve essere ampiamente socializzata. Poi le decisioni vanno prese a maggioranza”.
Le comunità locali hanno la possibilità di contrapporsi alla decisione di fare il deposito sul loro territorio?
“Sì. Di fronte alla contrapposizione, il presidente della Repubblica fa un decreto che riavvia il dibattito. E solo alla fine, dopo circa un anno, il governo può arrivare a un decreto di realizzazione”.
Quindi il governo può imporsi sulla volontà di una comunità locale…
“Sì. Però prima c’è un percorso piuttosto lungo. Bisogna trovare sempre il giusto livello di equilibrio tra le comunità locali e l’esigenza di fare il deposito nazionale”.
Scorie nucleari
I siti già presenti, che già contengono rifiuti nucleari, non possono andar bene già di suo per ospitare il deposito?
“Molti di questi siti sono vecchi di decenni, e vanno pure messi in sicurezza. Altro che caricarli con altra roba. E sicuramente anche le comunità che gli stanno attorno non la prenderebbero bene. Già gli hanno costruito la centrale, adesso uno gli porta pure i rifiuti da altre parti. Penso anche che quelle comunità risponderebbero che loro ‘hanno già dato'”.
In Italia, dopo due referendum a distanza di tanti anni l’uno dall’altro, l’ipotesi del nucleare è definitivamente tramontata?
“Mi piacerebbe risponderle di no, perché così mi divertirei a sconfiggerlo per una terza volta. Ma il nucleare è defunto e non conta più niente. Non è affatto strategico dal punto di vista energetico. Già la rivista Forbes nel 1986 diceva che il nucleare è il più colossale fallimento dell’era industriale. Inoltre il rendimento energetico di una centrale nucleare è al massimo del 40% e ciò significa che il restante 60 non viene utilizzato. Non solo, ma il nucleare si coniuga sempre a una gestione autoritaria del consenso, come in Cina. Il nucleare vuole una struttura di lavoro verticistica ed esclusiva. Nessuno può toccare niente e tutti devono obbedire ai comandi”.
Daniele Camilli
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