Viterbo – In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.
Con un ciclo di interviste, Tusciaweb propone un’istantanea di ciò che è stato e ciò che sarà, attraverso le parole e gli occhi di grandi personaggi pubblici.
Antonio Di Pietro
Antonio Di Pietro è un ex magistrato ed ex politico italiano. Sostituto procuratore della repubblica presso il tribunale di Milano, all’inizio degli anni ’90 fa parte del pool di Mani pulite. È tra i protagonisti di una fase fondamentale della più recente storia italiana che porta di fatto al crollo del sistema politico della prima repubblica. Entrato in politica nel 1996, nel 1998 fonda il partito Italia dei Valori per poi uscirne nel 2014 lasciando tutti gli incarichi. Antonio Di Pietro, nel corso della sua carriera, è due volte ministro. Prima dei lavori pubblici nel primo governo di Romano Prodi (18 maggio-20 novembre 1996), poi delle infrastrutture nel secondo governo Prodi (17 maggio 2006-8 maggio 2008).
Di Pietro, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?
“Non ho avuto alcuna esperienza con il Covid né direttamente né per quanto riguarda i miei familiari. Per il resto, quando è iniziata la pandemia, mi sono trasferito a Montenero di Bisaccia in Molise. Nella masseria dove sono nato e che mi hanno lasciato i miei genitori. Del Covid ne ho sentito parlare solo per televisione, anche perché lì in campagna ero del tutto autosufficiente”.
Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?
“Adesso mi trovo in provincia di Bergamo dove risiedo. Questa mattina sono uscito a fare la spesa. La giornata mi è sembrata simile a quelle di un anno fa, prima del Covid. Ma con una differenza. Eravamo tutti con le mascherine, tutti a distanza gli uni dagli altri e tutti con una maggiore attenzione rispetto al proprio vicino. La vita continua, nonostante il Covid. Ho però avuto l’impressione che i cittadini, man mano che hanno capito la gravità e appreso gli strumenti per contrastare il virus, hanno fatto tesoro di tutta questa esperienza”.
Farà il vaccino?
“Sicuramente sì. Aspetterò il mio turno, e poi certo che lo farò, senza se e senza ma”.
Che fa e chi è oggi Antonio Di Pietro?
“Faccio parte dell’associazione combattenti e reduci di cui sono il solo socio… e ogni volta faccio una riunione con me stesso guardandomi allo specchio e dicendomi cosa ho fatto di buono e cosa di sbagliato”.
Al di là delle battute, cosa fa Di Pietro?
“Innanzitutto, ho ancora un residuo di carico giudiziario che mi porto dietro da quando facevo politica. Purtroppo, ci sono delle scorie di fango che devono ancora essere ripulite. Sono stato accusato di mille cose e a mia volta ho contrattaccato in mille e cento modi. Ne è scaturita un’infinità di processi. Ho sempre vinto, ma è anche vero che mi hanno tolto tanto tempo. A me come persona e alle istituzioni. Adesso faccio l’avvocato, soprattutto per ciò che riguarda la mia onorabilità. Ma cerco anche di essere di aiuto a chi ne ha bisogno e crede nella mia professionalità”.
Quale bilancio trae dalla sua attività di magistrato prima e politico poi?
“Dovessi tornare indietro rifarei mille volte il magistrato e mille volte esattamente quello che ho fatto. Difficilmente però rifarei politica. Prendendo spunto dalle parole di mia sorella che ha 16 anni più di me e che mi ha fatto da madre, ‘uno sguardo al passato con piedi ben piantati nel presente e via verso il futuro’. Come ho già detto, rifarei tutto, ma prima di fare politica ci penserei due volte”.
Per quale motivo?
“Sono nato come servitore dello stato. Anche la politica è servire lo stato, ma col tempo mi sono accorto che molti politici si fanno i fatti loro. Ho iniziato come migrante in Germania e sono arrivato a fare il ministro e il presidente di alcune delegazioni del parlamento europeo. Sono molto orgoglioso di quello che ho fatto e non ho alcuna necessità di rincorrere altro”.
E in futuro cosa farà?
“Di base sempre l’avvocato. Ma ho ripreso l’attività che aveva mio padre. Un lavoro, quello del contadino, che mi è sempre piaciuto. Ho quindi riavviato la sua azienda agricola. Ho messo la vigna, gli ulivi e quest’anno stiamo piantando il mandorleto. Voglio tornare a guardare le stelle come facevo quando ero piccolo”.
Rispetto a Tangentopoli che cosa cambierebbe in merito al suo modo di agire come magistrato?
“Bisogna innanzitutto distinguere Tangentopoli da Mani pulite. Una cosa è Tangentopoli, una cosa Mani pulite. Tangentopoli è quel sistema criminale ambientale che si è venuto a formare in Italia dagli anni ’50 in poi, invadendo talmente tanto il sistema produttivo e politico che pure le pietre lo sapevano. Quello che noi abbiamo scoperto lo sapevano tutti, soltanto che non si riusciva a spezzare il cordone dell’omertà. E quella era Tangentopoli. A un certo punto, quando il tumore è cresciuto e il paese andava curato, è stato necessario l’intervento del medico. Ed è arrivato il chirurgo Mani pulite che – con una tecnica investigativa per quei tempi – ha cercato di intervenire sulla parte più visibile del tumore, quella più grave ed evidente. Mani pulite è stato il chirurgo che è intervenuto e che ha tolto un pezzo di tumore di Tangentopoli”.
Dopodiché cosa è successo?
“Dopodiché se il paziente in Italia continua a fumare e si riammala, è inutile prendersela con il chirurgo che ha cercato di fare il suo dovere quando gli è capitata sotto mano una marea di delinquenti”.
E da chirurgo, quali potrebbero essere stati i suoi errori?
“Sfido chiunque a trovare una persona che sia riuscita a fare tutto bene e senza sbagliare mai. Lungi da me dire che non ho fatto errori. Col senno del poi non ho difficoltà a riconoscere che potevo fare qualcosa di diverso oppure focalizzarmi di più su quell’interrogatorio o su quella persona. Se devo confidare un’amarezza, non un errore, ma un’amarezza che ho vissuto come una sconfitta dello stato e mia personale, posso dire che la più grande è stata il suicidio di Gardini. Il suicidio di Gardini mi ha creato una grande amarezza. Potessi tornare indietro, sapendo ora quel che è successo dopo, forse sarei riuscito ad evitare quel suicidio”.
E come lo avrebbe evitato?
“Quando sarà il momento, ne parleremo. Non è questa la sede adatta. È una lunga storia”.
Cosa pensa delle teorie negazioniste o complottiste? Ne è mai stato tentato?
“Io sono sempre stato con i piedi per terra. E mi è sempre piaciuto scoprire cosa c’è oltre la collina. Se non vedo non credo. In questo caso, vedo e credo che c’è un’enorme massa di soggetti deboli che si lasciano circuire da pseudopersonaggi criminali che, pur di apparire, inventano storie fasulle. Vanno a colpire i più deboli ed i più ingenui, provocando loro un danno esistenziale immane. Se fossi ancora un pubblico ministero, questi personaggi senza scrupoli li sbatterei in galera”.
Come ha passato il Natale?
“Per me e la mia famiglia è stato uno dei Natali più belli. Io, i miei figli e mia moglie siamo stati in casa per il piacere di stare finalmente insieme, seduti, e così parlarci e raccontarci le nostre cose”.
Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
“Quando i nostri padri costituenti hanno introdotto il divieto del vincolo di mandato per i parlamentari, non lo hanno fatto pensando alla situazione di oggi, ma guardando a quello che era stato il fascismo. Quindi c’era bisogno di un parlamento dove chi rappresentava il popolo fosse il più possibile libero. Per questo hanno previsto all’art. 67 della costituzione il principio per cui ogni parlamentare esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Ho l’impressione, però, che quella norma, giusta, corretta e legittima, oggi venga abusata per obiettivi ignobili, vendendo l’impegno preso con i propri elettori per fini personali. Pertanto, sono contrario a qualsiasi composizione governativa che non rispetti la volontà del popolo. Personalmente sono favorevole a un sistema maggioritario tendenzialmente presidenziale.
Sono anche dell’idea che, quando in parlamento non c’è una maggioranza che rispecchi il Paese, bisogna andare a votare. Così come ritengo che sia meschino che, siccome c’è la pandemia, non si possa votare. Anche un governo dimissionario può continuare a fare quello che deve fare ed in tanti paesi europei si sta votando (anche in Italia a giugno prossimo si vota in un migliaio di comuni). Non posso condividere la “furbata” di cercare in parlamento una maggioranza diversa da quella che ha espresso il paese. Non vorrei che l’Italia fosse governato da una destra sovranista ed antieuropea. Ma se la maggioranza degli elettori italiani, alle prossime elezioni, voterà in tal modo, io che diritto ho di impedirlo? Il governo Conte mi aveva dato qualche elemento di speranza perché era riuscito a fare da collante. Però non possiamo avere un governo che deve passare tutto il tempo ad incollare i cocci di una maggioranza che non c’è più pur di restare sulla sedia ministeriale.
Il vero leader è colui che sa fare bene un passo indietro. Per cui non condivido la pervicacia con cui Conte intende rimanere al governo. Non condivido nemmeno il metodo con cui lo comunica, perché è sempre un metodo del rinvio. Soprattutto non condivido coloro che, pur di rimanere loro incollati alla sedia del Parlamento, si turano il naso e votano tutto ed il contrario di tutto.
Come andrà a finire la crisi del governo Conte innescata da Matteo Renzi?
“Se ne uscirà come sempre in Italia. Tanti ‘chiagneranno’ ma alcuni, sempre quelli, mentre fanno finta di ‘chiagnere’, in realtà ‘fottono’!”
Secondo lei, invece, come se ne dovrebbe uscire?
“Come si usa in una democrazia normale. Preso atto che c’è una divergenza tra una realtà delegata all’interno delle istituzioni ed i cittadini, il capo dello stato dovrebbe agire di conseguenza, ridando la voce agli elettori. Ho molto rispetto per il presidente Mattarella, ma nel mio immaginario personale, prima da studente, poi da persona delle istituzioni, ho sempre guardato al presidente della repubblica come a un’autorità che – quando serve – debba alzare la voce. Non a un capo dello stato rinchiuso in se stesso”.
Quindi, dal suo punto di vista, Mattarella sarebbe un capo dello stato “rinchiuso in se stesso”?
“Nei confronti del silenzio del capo dello stato, che sento magnificare da molti, ho molto rispetto, ma non condivido il suo tatticismo. Non condivido la scelta del silenzio nell’attesa che le cose si risolvano da sole”.
Che differenza c’è tra la classe dirigente di adesso e quella che lei ha avuto modo di conoscere durante l’inchiesta Mani pulite?
“A quell’epoca facevo il magistrato, cioè il chirurgo, e intervenivo quando mi venivano segnalati dei tumori all’interno della società. I tumori ce li avevano personaggi squallidi, ma anche personaggi di grande levatura e professionalità. E c’erano anche personaggi senza tumore. Quell’inchiesta non era contro quella classe politica, ma era contro il signore X ed Y, per il reato A e B, perché aveva dentro il materasso, sotto il mattone o piuttosto su un conto corrente all’estero, un pacchetto di soldi che non gli spettavano. Aveva insomma una massa tumorale che doveva essere asportata. Ma la massa tumorale è una cosa e la competenza professionale un’altra. Per cui quella classe politica, nata dalla resistenza e con modelli ideologici liberali, cattolici, comunisti, socialisti, repubblicani era una classe politica che si era forgiata con l’esperienza, passo dopo passo, e non come ora che, dalla mattina alla sera, ti ritrovi da gelataio a ministro!
Certo alcuni politici del passato, anche di alto rango, hanno approfittato del loro ruolo per fini personali. Ma ce n’erano anche molti che hanno fatto una buona politica e qualcuno c’è pure morto per i suoi ideali. Penso, solo per fare un esempio, al fratello del presidente Mattarella, penso ad Aldo Moro e a tanti altri”.
E quella di adesso?
“Una volta eliminato il tumore è venuta meno la cultura politica, mentre l’opinione pubblica si è ritrovata sbandata e con la necessità di trovare dei punti di riferimento che non potevano essere più la bandiera con falce e martello, lo scudo crociato o il garofano, perché quelle bandiere erano state sporcate da alcuni personaggi che non avevano fatto il proprio dovere. Allora i cittadini si sono affidati alle persone e sono nati dei movimenti che non erano più basati su un’idea, ma sulla credibilità del personaggio. A quel punto si è creato un vuoto e l’opinione pubblica si è appoggiata al personaggio del momento: da Berlusconi a Bossi, da Grillo a Di Pietro, da Salvini a Conte e così via… Come vede, neanche io posso tirarmi fuori da questa critica! Insomma, siamo in una fase di transizione da cui non ancora riusciamo ad uscirne. La politica seria riprenderà il suo spazio quando si tornerà a conoscere non il nome di questo o quel politico perché famoso, ma per ciò che ha fatto e lasciato dopo di sé”.
Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
“Non esageriamo. La libertà non può essere anarchia come non deve essere nemmeno una libertà vigilata. Quella è un’altra cosa. La libertà, però, va governata da chi deleghiamo a rappresentarci nelle istituzioni nel rispetto degli altri principi costituzionali. Personalmente credo che la libertà consista nel fatto che ciascuno è libero di fare tutto ciò che vuole fintanto che non intacchi la libertà altrui. E per libertà altrui metto al primo posto la libertà collettiva. E mettere in pericolo la salute degli altri è anche un attacco alla libertà altrui. Ecco perché non sono contrario alle restrizioni che, a causa della pandemia, ci sono state imposte”.
Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
“Il problema più grande riguarda il debito pubblico che quest’anno è cresciuto enormemente. E il prezzo lo pagheranno i nostri figli e nipoti. L’Italia non riuscirà più a ripagare questi debiti. Ci sarà a un certo punto un’enorme tassazione patrimoniale alla faccia di chi ha fatto sacrifici per risparmiare qualcosa. Certo, così facendo i disperati potranno respirare ma chi ha fatto il furbo se ne avvantaggerà e sicuramente chi ha messo da parte qualche soldo dopo aver lavorato onestamente per una vita e aver pagato le tasse, si troverà ancora una volta ‘cornuto e mazziato’!”.
Il Covid è una rivincita della natura sulla cultura? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
“Il Covid non è né una rivincita della natura sulla cultura, né una sconfitta della scienza. Il tempo della nostra vita è un soffio d’aria rispetto all’eternità. Poi, più l’uomo scoprirà nuovi orizzonti e nuove rivincite sulla natura, meno potrà essere paragonato ad un soggetto umano. Piano piano diventeremo un’altra cosa e non ci sarà più spazio per sopravvivere nel pianeta terra perché l’avremo distrutto noi stessi”.
Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
“Sì, penso che questo periodo sia uno spartiacque. Un momento storico da cui dovremmo trarre l’insegnamento della prevenzione. Abbiamo a che fare con qualcosa di cui nessuno sapeva l’esistenza e la stiamo affrontando. Per il futuro dobbiamo farci trovare più preparati per certi eventi che, tanto si sa, prima o poi accadranno”.
Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
“La mia è un’affermazione di parte e come tale va presa. Il sistema dell’informazione mi ha fatto molto bene e al tempo stesso molto male. Tant’è che ho dovuto mettere in piedi centinaia di cause per difendere la mia onorabilità. Nel mondo dell’informazione, come in tutti gli altri campi, ci stanno i buoni e i cattivi, chi fa il suo dovere e chi no. Detto questo, al di là della mia vicenda personale, preferisco vivere in un mondo in cui l’informazione non subisca lacci e lacciuoli da parte di nessuno. Lei sa qual è la differenza tra un pubblico ministero e un giornalista d’inchiesta?”
Il primo manda in carcere le persone e il secondo no?
“Il pm arriva quando il reato è già avvenuto mentre il giornalista d’inchiesta è quello che può aiutare a prevenire i reati”.
Per quanto riguarda invece spettacolo e cultura?
“Non frequento sale o programmi di spettacolo. Quanto alla cultura è un cammino in salita dove non si smette mai di imparare”.
Quale è stata per lei la lezione del Covid?
“Non mi faccia fare il ‘tuttologo’. Il Covid è una malattia che va affrontata da chi ne ha competenza ed io mi rimetto a ciò che dicono gli esperti al riguardo senza filosofeggiare al vento. E poi, io, i miei 70 anni li ho vissuti in pieno e, oggi come oggi, guardo tutto ciò che mi gira attorno con distacco e serenità”.
Daniele Camilli