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“Il boss Giuseppe Trovato voleva usarmi per arrivare a Piero Camilli”

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Carlo Taormina, Manuel Pecci e Fausto Barili

Manuel Pecci con gli avvocati Carlo Taormina e Fausto Barili


Viterbo – “Il boss Giuseppe Trovato voleva usarmi per arrivare a Piero Camilli”. Lo ha detto Manuel Pecci, spiegando come sia stato lo stesso titolare di compro oro, condannato per associazione di stampo mafioso, a offrisi come mediatore nella vicenda del cliente rimasto ustionato durante un trattamento di epilazione definitiva presso il centro estetico di famiglia a San Faustino.

E’ durato oltre sei ore, ieri, l’interrogatorio di Pecci, Emanuele Erasmi e Ionel Pavel, i tre dei tredici arrestati dell’operazione Erostrato del 25 gennaio 2019 a giudizio davanti al collegio presieduto dal giudice Gaetano Mautone. Sono accusati, a vario titolo, di estorsione, furto e danneggiamento aggravati dal metodo mafioso. 

“Quando Trovato ha saputo che avevamo discusso e che il cliente mi aveva fatto scrivere da un avvocato suo compaesano, si è messo in mezzo, dicendomi che avrebbe parlato con entrambi per trovare una soluzione amichevole. Anche lui era un mio cliente e lo conoscevo da 8-9 anni, non avevo motivo per sospettare che fosse una persona pericolosa”, ha spiegato Pecci, il cui interrogatorio è durato da solo oltre due ore e mezza.

La situazione si è capovolta, secondo l’imputato, nel giro di 45 minuti, il tempo di andare e tornare dal ristorante della parte offesa, che non si è costituita parte civile al processo, nonostante abbia saputo, nel frattempo, che il boss, spalleggiato dalla sua banda di criminali italo-albanesi, avrebbe voluto picchiarlo fino a mandarlo in ospedale, bruciargli la macchina a rapinarlo. 

Era il 13 dicembre 2017. “All’ora di pranzo Trovato era in auto fuori dal negozio che mi diceva di andare insieme al ristorante del cliente insoddisfatto per farci una chiacchierata. All’andata mi ha accennato a dei problemi con Piero Camilli che gli doveva dei soldi per avergli risolto un problema con un terreno. Poi c’è stata la discussione fuori del ristorante e mentre tornavamo prima mi ha detto che voleva picchiare il ristoratore e mandarlo in ospedale, al che mi sono spaventato a morte. Poi, siccome avevo giocato a calcio nella Castrense e conoscevo Camilli, mi ha chiesto se potevo metterlo in contatto con il figlio, informazioni sule auto e sulla famiglia. In quel momento ho capito con chi avevo a che fare, che era una persona pericolosa e ho rotto ogni rapporto. Non ci ho dormito per notti e notti. Ero rimasto choccato per quanto accaduto in quei 45 minuti”.

“Con Trovato ci siamo risentiti il 30 dicembre, quando mi ha telefonato per dirmi che il problema era risolto, poi è venuto una volta al negozio per farsi fare la tinta bionda ai capelli, ma gli ho detto che non potevo e non si è fatto più vedere”, ha proseguito Pecci, difeso dagli avvocati Carlo Taormina e Fausto Barili. “Non sono stato io a cercare lui, ma lui a cercare me. Guarda caso il 12 dicembre aveva cercato al telefono Camilli, che lo aveva scaricato. E il giorno dopo è voluto a tutti i costi andare con me al ristorante. sostenendo che voleva aiutarmi. A posteriori mi sono convinto che lo abbia fatto perché pensava che se mi fossi sentito in debito con lui, lo avrei accontentato nelle sue richieste su Camilli. Cosa che naturalmente mi sono guardato bene dal fare”, ha concluso.


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Il boss Giuseppe Trovato


La difesa di Emanuele Erasmi

“Cercavo qualcuno che mi accompagnasse da un imprenditore del Poggino per cui avevo fatto un lavoro, che mi doveva dare dal 2015 diecimila euro e mi liquidava sempre senza neanche farmi parlare. Mi ero anche rivolto a un avvocato, seguendo tutto l’iter, ma senza risultati. Un amico con cui mi ero sfogato mi ha presentato il ‘Riccio’, un albanese ‘tosto’, grande e grosso, che lavorava nell’edilizia e faceva il buttafuori in discoteca. All’appuntamento però si è presentato con Giuseppe Trovato. Al debitore ho detto che erano miei parenti”, ha spiegato il falegname cinquantenne di Bagnaia, difeso da Giuliano Migliorati. 

Era luglio 2018. Fatto sta che il debitore – vistosi piombare in azienda Erasmi coi due “sgherri” – in appena una settimana gli ha liquidato i primi quattromila euro e altri quattromila a settembre. Nell’immediatezza si è recato in questura, ma non si è costituito parte civile al processo.

“Trovato e il Riccio nel frattempo -ha proseguito Erasmi – si sono fatti pressanti, mi cercavamo in continuazione, hanno preteso tremila euro per il disturbo, 1500 euro ciascuno, dopo che al primo incontro il Riccio, cui avevo chiesto quanto volesse, mi aveva risposto che non voleva soldi, che era un piacere a un amico. Ho capito che si trattava di gente pericolosa. Non era quello che volevo, io volevo solo recuperare i miei diecimila euro”. 


La difesa di Ionel Pavel

“Ho saputo che erano state bruciate le auto di due carabinieri la mattina del 16 giugno 2017, quando un maresciallo che chiamano ‘il messicano’ è venuto a prendermi all’officina dove lavoro, mi ha tirato giù dal carro attrezzi, ammanettato e trascinato in caserma, dove mi hanno tenuto fino alle 17, senza dirmi se ero in stato di fermo o cosa, poi mi hanno lasciato andare via”, ha detto il romeno difeso dall’avvocato Michele Ranucci, spiegando di essere stato detenuto per maltrattamenti in famiglia da settembre 2016 a gennaio 2017.

Secondo i pm Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò della Dda di Roma sarebbe implicato anche nelle intimidazioni, a suon di auto danneggiate e teste mozzate di maiali e agnelli, ai due connazionali organizzatori di serate da ballo per romeni alla discoteca Theatrò, uno dei quali si è costituito parte civile così come il titolare del locale Fabio Chiovelli. Era l’autunno del 2017. 

“Prima di finire nei guai con la mia ex moglie, lavoravo per l’autosalone di Ismail Rebeshi, ma quando ho finito di scontare la pena ho deciso di cambiare vita e compagnie. Gli facevo qualche lavoro e uscivamo per qualche bevuta, niente altro. Stava spesso con Trovato e Sokol Dervishi, che a me non piaceva, perché era razzista, si credeva una persona superiore. Si sapeva tra noi romeni che Rebeshi e altri albanesi facevano casino fuori della discoteca ed ero dispiaciuto sapendo che se la prendevano con dei connazionali, ma non so altro della vicenda, non frequentavo più da mesi gli albanesi”, ha concluso. 

Il processo riprenderà il primo febbraio in carcere, dove saranno sentiti in video conferenza i coimputati Rebeshi e Trovato. 

Silvana Cortignani


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