Viterbo – Rifiuti radioattivi e nucleari. Sul sito depositonazionale.it il progetto preliminare e la documentazione descrittiva generale che ha accompagnato l’individuazione delle aree idonee ad accoglierlo. Sessantasette in tutto. Rese pubbliche la scorsa settimana. Otto i comuni della Tuscia coinvolti. Ischia di Castro, Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano.
Nel frattempo, sempre sul sito internet del deposito nazionale, la pubblicazione l’avviso per la “consultazione pubblica per l’avvio della procedura per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco tecnologico”. Ad occuparsene è Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning, cioè della disattivazione degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi.
depositonazionale.it – Il progetto di Deposito nazionale
Sogin è la Società gestioni impianti nucleari per azioni che, come sta scritto nel suo bilancio di esercizio, “è una Società costituita il 31 maggio 1999 da Enel spa in attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 13, comma 2, lettera e), del D. lgs. n. 79 del 16 marzo 1999, per lo svolgimento delle attività di smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, di chiusura del ciclo del combustibile e delle attività connesse e conseguenti. La società si attiene agli indirizzi formulati dal ministro dello sviluppo economico).
Nel 2000 Enel trasferisce a Sogin il ramo d’azienda nucleare. La società, a sua volta, nel 2005 acquista anche il ramo d’azienda nucleare di Fn spa. Mentre nel 2007 un decreto legislativo individua in Sogin l’operatore nazionale che ha il compito di garantire “la messa in sicurezza di lungo periodo delle sorgenti radioattive dismesse ai fini del loro futuro smaltimento – riporta il bilancio della società – assicurando un immagazzinamento in sicurezza per un periodo di almeno cinquanta anni, mantenendo per le predette attività una contabilità separata”.
Tra i membri del consiglio di amministrazione, anche Raffaella Di Sipio “socio fondatore e membro del consiglio di amministrazione – si legge sul suo curriculum vitae pubblicato on line – della fondazione Ottimisti&Razionali. La fondazione Ottimisti&Razionali (For) – prosegue il Cv – approfondisce con metodo scientifico l’impatto dei cambiamenti economici, sociali e tecnologici sulle istituzioni e nella società, promuove la diffusione di nuove politiche e la crescita culturale dei singoli, offre al dibattito pubblico un Puno di vista razionale per metodo di analisi e attendibilità dei dati. La fondazione si pone come missione il contrasto al divario tra la realtà e la sua rappresentazione”.
depositonazionale.it – Le soluzioni possibili
Qualche mese fa Sogin ha anche lanciato un bando pubblico per soluzioni avanzate nella gestione dei rifiuti radioattivi. A vincerlo è stata una startup pisana, la Noi che ha sviluppato la piattaforma Zerynth, un software-hardware-cloud professionale che permette, nella gestione dei rifiuti radioattivi, di integrare sia vecchi sistemi analogici che prodotti, tecnologie e servizi di nuova generazione.
Sogin controlla anche il 60% di Nucleco, società leader nella gestione dei rifiuti radioattivi e nella bonifica di siti nucleari e industriali. L’altro 40% fa capo invece ad Enea.
depositonazionale.it – Il progetto di Deposito nazionale
In passato le scorie radioattive italiane venivano esportate all’estero, soprattutto in Francia e in Gran Bretagna. Negli anni ’60 l’Italia aveva avviato un programma di sviluppo nucleare di lungo periodo, naufragato negli anni ’80 sotto la spinta dei movimenti antinucleare, nati a partire dalle prime lotte a Montalto di Castro, e dell’esplosione della centrale nucleare a Chernobyl in Unione Sovietica. Con il referendum che alla fine chiuse ogni discorso.
Oggi invece l’Unione europea, articolo 4 della direttiva 2011/70, prevede che i rifiuti radioattivi e nucleari vengano sistemati laddove sono stati generati.
A questo punto, come sta scritto nelle domande e risposte riportate sul sito internet depositonazionale, perché non smaltirli “nei depositi già esistenti negli impianti nucleari?”. Risposta. “Né i depositi temporanei né i siti che li ospitano sono idonei alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi. Infatti i depositi temporanei presenti nelle installazioni nucleari italiane attualmente in fase di smantellamento, sono strutture con una vita di progetto di circa 50 anni, in conformità alla specifica normativa tecnica nazionale ed internazionale in materia, volta alla garanzia della sicurezza dei depositi stessi, riguardo ai lavoratori, alla popolazione e all’ambiente. Tali depositi sono sottoposti a dei periodici interventi di manutenzione e al termine della vita di progetto è programmata una rivalorizzazione di adeguamento generale. Progressivamente stanno esaurendo le loro capacità ricettive e in un futuro prossimo dovranno essere, oltre che costantemente mantenuti a norma, ampliati o raddoppiati”.
Una risposta da cui non si capisce bene se questi depositi siano da lasciar perdere oppure, “ampliandoli e raddoppiandoli”, possano tornare utili in veste di depositi nazionali.
depositonazionale.it – Produttori e detentori di rifiuti radioattivi in Italia
Dopodiché, una domanda. Sta scritta sempre sul sito depositonazionale.it. “Rischio sismico: quali garanzie?”. La risposta. “La sismicità è uno dei criteri di esclusione indicati dall’ente di controllo Ispra (oggi Isin), nella Guida tecnica n. 29, pubblicata il 4 giugno 2014, e applicati da Sogin per la redazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. Per questo le aree ad elevato rischio sismico sono state immediatamente escluse con l’applicazione del criterio n.3 della Guida Tecnica n. 29 dell’ente di controllo. Successivamente, nelle fasi di prequalifica e qualifica, le indagini e gli studi sismologici permetteranno di conoscere con accuratezza l’effettivo rischio sismico (probabilità e intensità)”. A Tuscania, comune su cui ricade una delle aree idonee al deposito, nel 1971, 50 anni fa, c’è stato un terremoto devastante.
depositonazionale.it – le modalità di trasporto
Infine, quanti sono i centri italiani che producono o detengono rifiuti radioattivi? “In sintesi – spiega il sito internet depositonazionale – le principali strutture in cui si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi sul territorio nazionale e che conferiranno questi rifiuti al Deposito nazionale sono: 4 centrali in decommissioning (Sogin); 4 impianti del ciclo del combustibile in decommissioning (Enea/Sogin); 1 reattore di ricerca Ccr Ispra-1 (Sogin); 7 centri di ricerca nucleare (Enea Casaccia, Ccr Ispra, Deposito Avogadro, LivaNova, Cesnef – Centro energia e studi nucleari Enrico Fermi- Università di Pavia, Università di Palermo); 3 centri del Servizio integrato in esercizio (Nucleco, Campoverde, Protex); 1 centro del Servizio integrato non più attivo (Cemerad)”.
depositonazionale.it – Il progetto di Deposito nazionale
Quanti rifiuti ci sono invece nelle installazioni nucleari Sogin? “In Italia sono state in esercizio, fino alla fine degli anni ’80 – risponde il sito depositonazionale – otto siti nucleari. Si tratta delle quattro centrali nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta); dell’impianto Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria) e dei tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera). Queste installazioni, insieme al reattore ISPRA-1 situato nel complesso del Centro Comune di Ricerca (Ccr) della Commissione Europea di Ispra (Varese), sono state affidate a Sogin che ne cura il decommissioning (smantellamento)”.
“Il decommissioning – prosegue depositonazionale.it – costituisce l’ultima fase del ciclo di vita di un impianto nucleare. È l’insieme delle operazioni di mantenimento in sicurezza dell’impianto; allontanamento del combustibile nucleare esaurito; decontaminazione e smantellamento delle installazioni nucleari; gestione e messa in sicurezza dei rifiuti, in attesa del loro trasferimento al Deposito Nazionale. Sogin gestisce circa 15000 metri cubi di rifiuti radioattivi”.
Daniele Camilli