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Roma – Riceviamo e pubblichiamo – Mentre gli italiani sono occupati a barcamenarsi fra chiusure e zone colorate, il governo ha autorizzato la pubblicazione della lista delle aree del territorio nazionale ritenute più idonee ad accogliere i nuovi depositi atomici, luoghi in cui seppellire tonnellate di rifiuti radioattivi.
La mappa, denominata Cnapi – Carta nazionale delle aree più idonee, ha individuato numerosi siti, le cui condizioni geomorfologiche li rendono più adatti di altri ad ospitare i depositi. Scarsa densità abitativa, bassa sismicità, nessun rischio frane, alluvioni, eruzioni; distanti dal mare ma in prossimità della rete viaria e ferroviaria. Sarebbero questi i criteri determinanti.
Il piano dei depositi nazionali era fermo dal 2003, come gran parte delle opere pubbliche italiane, non c’è motivo di riprenderlo in questo modo scriteriato, rischiando di vanificare definitivamente quel poco di buono che si è riusciti a fare. Forse è il caso di fermarsi e progettare ex novo non soltanto il ciclo dei rifiuti tossici (magari prendendo spunto da quei Paesi che stanno sviluppando metodi di avanguardia per il trattamento delle scorie radioattive). Ma tutta l’Italia. E solo dopo rimettersi al lavoro. Una volta deciso che da parte andare.
Oggetto dei depositi sotterranei non dovrebbero essere le scorie maggiormente radioattive, ma “soltanto” rifiuti a media e bassa attività (reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici, radiografie industriali e numerosi altri manufatti contenenti torio e americio radioattivi).
Il problema però resta. Soprattutto in un Paese che ha da tempo rinunciato ad un’organica e coerente politica energetica e industriale e – viceversa – ha investito in turismo sostenibile, biodiversità e agroalimentare. Riuscendo, molto spesso, ad eccellere e combattere la devastante crisi economica e occupazionale che da anni sta piegando l’Italia. Un’evidenza di cui il governo pare non preoccuparsi minimamente.
Il caso della Tuscia è l’ulteriore dimostrazione che nella regione Lazio ci sono zone a cui vengono accollate con una certa costanza delle servitù. Sembra che gli organi di governo regionali e nazionali si siano dimenticati che per chiedere “sacrifici” ai territori, occorrerebbe quantomeno avere idee e strumenti rinnovati per un piano di sviluppo infrastrutturale e di una politica industriale. Nel Lazio pare invece si debbano fare solo sacrifici.
È inaccettabile che una zona a forte vocazione turistica, agricola, zootecnica ed enogastronomica di alta qualità venga sottoposta a una simile spada di Damocle, che colpirebbe gravemente i comparti economici che trainano l’economia e sono fondamentali per le vite di migliaia di persone.
Come coordinamento regionale del Lazio di Italexit con Paragone, riteniamo che il piano presentato sia certamente da rigettare. E non già per sposare acriticamente battaglie “nimby”, quanto piuttosto per chiedere al governo una diversa e maggiore attenzione su un tema tanto delicato e impattante sulle popolazioni locali e di declinarlo in modo coerente con la visione d’insieme e lo sviluppo economico del Paese.
Italexit con Paragone è contraria a qualsiasi ipotesi di individuazione dei depositi nel territorio della Tuscia viterbese e nel resto della regione Lazio.
Italexit con Paragone – Coordinamento Lazio