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Viterbo – Silvia Da Ros |
Viterbo – Non solo Coronavirus. Donare il plasma può fornire un’arma in più contro la pandemia, ma anche farmaci salvavita per chi soffre di altre malattie.
Lo spiega Silvia Da Ros, medico, direttrice del Servizio di medicina trasfusionale dell’ospedale Belcolle (Simt). È partita da qui, in collaborazione con l’Avis, a dicembre, la campagna di donazioni di plasma iperimmune, cioè quello di chi ha avuto il Covid ed è guarito.
“Per adesso siamo arrivati a 22 donatori – spiega -. Allo Spallanzani sono in corso le analisi sul plasma di sette di loro. Ci vorranno dai 10 ai 12 giorni per avere risposte dall’istituto”.
Il donatore viene sottoposto a prelievo. “Se il plasma ha una concentrazione di anticorpi superiore a 80 ua/ml si procede a un secondo prelievo e poi si invia il tutto allo Spallanzani per le analisi – dichiara la dottoressa -. Dev’essere verificato che il plasma contenga un’adeguata quantità di anticorpi neutralizzanti. In tal caso potrà essere impiegato per le reinfusioni a malati di Coronavirus, laddove necessario”.
Ma anche qualora il plasma raccolto non fosse adatto come terapia anti-Covid, dunque non fosse plasma iperimmune, non verrebbe scartato. Al contrario: servirebbe per salvare altre vite.
“Nulla si butta via – spiega la dottoressa -. Se non si raggiunge il valore-soglia, il plasma donato si usa per produrre medicinali plasma derivati, le cosiddette immunoglobuline, necessarie per trattare le immunodeficienze primitive”. Si tratta di carenze del sistema immunitario, che possono essere curate proprio con le immunoglobuline, sostituendo gli anticorpi che non funzionano con altri.
“Per alcuni pazienti sono farmaci salvavita la cui disponibilità è legata al contributo dei donatori – dichiara la direttrice del Simt di Viterbo -. Ecco perché è fondamentale donare comunque, perché anche se non si dona specificamente per il plasma iperimmune, dunque in funzione anti-Covid, si può contribuire a produrre immunoglobuline utili per combattere altre patologie”.
Alla donazione di plasma iperimmune può partecipare chi ha tra i 18 e i 60 anni, ha avuto il Coronavirus con sintomi ed è poi guarito. Deve aver fatto un test sierologico che abbia dato esito positivo e un tampone molecolare con esito negativo: tra questo e la donazione devono intercorrere almeno 28 giorni.
Sul volantino che informa dell’avvio della raccolta, si legge che, tra gli altri, non possono donare plasma iperimmune donne che abbiano avuto gravidanze o aborti e chi ha ricevuto trasfusioni. “Noi invitiamo anche loro a partecipare: non doneranno plasma iperimmune, ma comunque dal loro plasma si potranno ricavare immunoglobuline fondamentali per aiutare altri malati”.
C’è sempre bisogno di donatori, di sangue e di plasma. “Spesso questi tipi di raccolta conoscono dei picchi in occasione di particolari emergenze – osserva Da Ros -. La sfida vera, però, è la cosiddetta ‘retention’, cioè il fatto di riuscire a mantenere un pool di donatori regolari. Il Lazio storicamente non è autosufficiente ai fini della produzione di farmaci derivati dal plasma, ma questo è un territorio dove i donatori sono molto partecipativi. Anche stavolta la risposta si sta dimostrando ottima”.
La cura del plasma iperimmune può avere la sua efficacia, ma Da Ros ricorda che è sperimentale. “Il trattamento non ha ancora un riscontro scientifico, in termini di validità dimostrata. Viene usato solo su alcuni pazienti e a discrezione dei medici, decidendo caso per caso”.
Per l’inizio vero e proprio a Belcolle delle reinfusioni dl plasma iperimmune non c’è una data. “La speranza sarebbe quella di non doverne fare – spiega la direttrice della Medicina trasfusionale -: vorrebbe dire che sappiamo già come curare i nostri pazienti senza ricorrere a un trattamento sperimentale. Le scorte idonee vengono congelate e si utilizzano al bisogno. Se poi non dovessimo usarle noi, richieste potrebbero arrivare da altri ospedali del Lazio, secondo meccanismi di compensazione. Tempo fa ci era arrivata una richiesta da Latina ma non eravamo ancora attrezzati”.
