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Appello mafia viterbese, difese pronte a dare battaglia sul reato di “associazione”

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Mafia viterbese - Furgone in fiamme a Viterbo - Nei riquadri Ismail Rebeshi e Giuseppe Trovato

Uno degli attentati incendiari (nei riquadri i boss Rebeshi e Trovato)


Viterbo – Mafia viterbese, al via il processo bis davanti alla corte d’appello di Roma.

Ieri la prima udienza, interlocutoria, al termine della quale è stato fissato il primo rinvio, al 22 marzo, quando il processo entrerà nel vivo con la relazione del procuratore generale e le conclusioni di tutte le parti civili.

Tra la cinquantina di parti parti offese individuate dai pm Fabrizio Tucci e Giovanni Musarò della Dda di Roma, sono 19 quelle che si sono costituite parte civile, tra cui il Comune di Viterbo, parte civile contro tutti gli imputati, rappresentato dall’avvocato Marco Russo. 

Saranno quindi calendarizzate le successive due-tre udienze durante le quali parleranno le difese dei dieci condannati col rito abbreviato lo scorso 11 giugno, nove dei quali pronti a chiedere una riforma della sentenza che preveda la cancellazione della più grave delle accuse, ovvero l’associazione di stampo mafioso. 

Imputati i “dieci” già condannati complessivamente a quasi ottanta anni di carcere in primo grado dei tredici arrestati nel blitz dell’operazione Erostrato del 25 gennaio 2019. A partire dai boss Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, presunti vertici del sodalizio criminale italo-albanese smantellato dai carabinieri coordinati dalla Dda di Roma, cui sono state inflitte pene a 13 anni e 4 mesi e a 12 anni di carcere.


Battaglia sull’associazione di stampo mafioso

Già nell’udienza che si è tenuta lo scorso 8 giugno davanti al gup Emanuela Attura del tribunale di Roma, che ha celebrato il processo col rito abbreviato, l’avvocato Giuseppe Di Renzo, che assiste Trovato, aveva chiesto la derubricazione in illecita concorrenza mediante minaccia o violenza oppure la riqualificazione del 416 bis in associazione a delinquere di tipo semplice e l’esclusione del metodo mafioso dai cosiddetti reati scopo. 

Nessun dubbio, per i pm Giovanni Musarà e Fabrizio Tucci, sulla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso. Per la coppia di magistrati il sodalizio si è reso responsabile di:”Azioni con i caratteri propri della intimidazione delle organizzazioni criminali di stampo mafioso o comunque con modalità idonee a coartare psicologicamente le vittime e la volontà di un numero indeterminato di persone in modo tale da richiamare alla mente di queste ultime comportamenti ritenuti propri di chi appartenga a sodalizi criminali di stampo mafioso. Con l’aggravante di essere stato commesso il fatto da persone che fanno parte dell ‘associazione di cui all’art. 416 bis cp”.


“Viterbo a ferro e fuoco, fu vera mafia”

“Viterbo a ferro e fuoco, fu vera mafia”, secondo l’avvocato Russo, che lo scorso 1 giugno ha parlato per il comune, che si è costituito parte civile, chiedendo 500mila euro e ottenendo la più alta delle provvisionali, per una somma pari a 30mila euro. 

“Parliamo di 52 episodi legati da un unico filo, che è questa associazione del tutto ‘innovativa’, dove la visione era una visione che riguardava la strategia per attuare il controllo del territorio, attraverso l’assoggettamento e attraverso quello che era poi il controllo dei compro oro, delle discoteche, di quelle che erano le attività d’interesse”, ha proseguito. 

“La violenza è sul tavolo, è sul piatto. Qui abbiamo una città letteralmente messa a ferro e fuoco, abbiamo gli atti gravissimi di intimidazione, perpetrati attraverso danneggiamenti gravi e tutta una serie di condotte che erano strumentali a dire ‘qui contiamo noi’, e quindi a imporre comunque un ‘rispetto’ che era dovuto in quanto ‘appartenenti’. Tutti indici della cosiddetta ‘mafiosità’”.

“Tutte quelle vicende apparentemente scollegate dei compro oro denotano il personaggio Trovato, che se lo guardavi storto in mezzo alla strada ti menava, che ha fatto picchiare un pluripregiudicato viterbese perché si era permesso di danneggiare un ‘suo’ bar scatenando nei suoi confronti una spedizione punitiva, che si è fatto ragione da sé del benzinaio che gli aveva messo nel serbatoio accidentalmente l’acqua con la benzina, che ha dato fuoco per ritorsione all’auto del carabiniere che ha fatto arrestare il fratello di Rebeshi per droga, che cerca la targa per bruciare l’auto del poliziotto che gli ha fatto un controllo più incisivo. E’ la mafiosità, ovvero ‘io devo imporre un controllo sul territorio, lo faccio attraverso atti di intimidazione’. A costo di rimetterci letteralmente la faccia, come quando Trovato si è ustionato il volto mentre incendiava i mezzi della ditta di trasporti di Roberto Grazini, facendosi dire da Rebeshi ‘Perché vai tu a fare queste cose? Ci sono i ragazzi, abbiamo la manovalanza’”, la conclusione.

Silvana Cortignani

Marco Russo

Marco Russo, l’avvocato di parte civile del comune


Le nove condanne in primo grado per associazione di stampo mafioso
– Giuseppe Trovato, 13 anni e e 4 mesi (14mila euro di multa). L’accusa aveva chiesto 20 anni (20mila euro di multa) 
– Ismail Rebeshi, 12 anni (12mila euro di multa). L’accusa aveva chiesto 20 anni (20mila euro di multa)
– Spartak Patozi, 8 anni e 8 mesi (8mila euro di multa). L’accusa aveva chiesto 16 anni (20mila euro di multa)
– Luigi Forieri, 8 anni e 4 mesi. L’accusa aveva chiesto 12 anni e 4 mesi
–  Gabriele Laezza, 8 anni (6mila euro di multa). L’accusa aveva chiesto 14 anni (16mila euro di multa)
– Shkelzen Patozi, 8 anni (4mila euro di multa), L’accusa aveva chiesto 14 anni (10mila euro di multa)
– Gazmir Gurguri, 7 anni e 4 mesi. L’accusa aveva chiesto 10 anni e 8 mesi
– Sokol Dervishi, 6 anni. L’accusa aveva chiesto 8 anni
– Fouzia Oufir, 5 anni e 4 mesi (6mila euro di multa). L’accusa aveva chiesto 10 anni e 8 mesi (10mila euro di multa)


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