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“Uccisa per gelosia e per spogliarla dei suoi averi”

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Terni – “Uccisa per gelosia e per spogliarla dei suoi averi”. La ricostruzione del procuratore di Terni Alberto Liguori dopo l’arresto di Roberto Lo Giudice per l’omicidio della moglie.

A distanza di pochi giorni dalla commemorazione delle vittime di mafia tenutasi a Perugia – nel corso della quale è stata rievocata anche la scomparsa d Barbara Corvi, da Montecampano di Amelia, avvenuta il 27 ottobre 2009 – a distanza di quasi 12 anni, il procuratore della Repubblica di Terni Alberto Liguori, a seguito della riapertura delle indagini archiviate nel mese di maggio del 2015, avvalendosi del prezioso apporto investigativo del reparto operativo dei carabinieri di Terni, ha chiesto e ottenuto la custodia cautelare in carcere nei confronti di Roberto Lo Giudice, marito di Barbara Corvi.

Barbara Corvi

Barbara Corvi


“Trattasi di una prima lettura in chiave cautelare – si legge nella nota del procuratore – che, confortata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, ha fatto emergere un grave quadro indiziario all’indirizzo dell’indagato Roberto Lo Giudice, trapiantato da tempo in Amelia, ma originario di Reggio Calabria; l’indagato, in base agli atti raccolti, pur non appartenendo al clan mafioso di riferimento, nella vicenda in esame sembra averne condiviso la mentalità: il tradimento deve essere lavato con il sangue”.

15 anni prima la cognata della vittima Barbara Corvi, Angela Costantino, ha pagato con la vita il tradimento al marito. Ulteriore elemento significante è il mancato ritrovamento del corpo delle due donne.

“I misteri che avvolgevano le prime investigazioni – continua il procuratore – sono stati chiariti anche grazie al contributo offerto da plurimi collaboratori di giustizia un tempo facenti parte del clan Lo Giudice, per intenderci quelli delle bombe ai giudici di Reggio Calabria del 2010. Il movente, come per Angela Costantino, è stato la gelosia, insieme al tentativo, in parte riuscito, di spogliare dei suoi averi Barbara”.

La procura, avrebbe “smascherato i vari depistaggi: 1) la tesi dell’allontanamento volontario e il prosciugamento dei conto correnti di Barbara per garantirsi la fuga; 2) la manipolazione del pc di Barbara per accreditare intenti suicidari il giorno prima della scomparsa; 3) la tesi del chiarimento in casa il 27 ottobre 2009 di pomeriggio tra Barbara e il marito prima della scomparsa; 4) le due cartoline spedite da Firenze il 5 ed il 6 novembre 2009 da Barbara ai figli; 5) le vere ragioni della presenza di Roberto a Reggio Calabria appena 18 giorni dopo la scomparsa della moglie”.

“In conclusione – aggiunge il procuratore -, dopo un attento scrutinio degli atti istruttori raccolti in precedenza e riletti anche alla luce sia dell’attività tecnica investigativa condotta sia del contributo offerto da collaboratori di giustizia qualificati, il compendio istruttorio raccolto si è colorato di gravità indiziaria convergente verso l’attuale indagato. Prudenza e rispetto delle garanzie, tuttavia, consigliano di sottolineare che la fase in cui ci troviamo è quella cautelare, in attesa del primo vaglio che potrà eventualmente provenire dall’interrogatorio di garanzia che sarà svolto a beve e che in precedenza, nonostante l’invito esteso a Roberto Lo Giudice da libero nello scorso mese di giugno, questi, come suo diritto, non ha inteso offrire avvalendosi della facoltà di non rispondere”.

Le indagini non sono state affatto facili. “Un’inchiesta – scrive Alberto Liguori -, condotta tra reticenze, depistaggi e comportamenti omertosi nella migliore tradizione criminale, di natura squisitamente indiziaria che attende serenamente i successivi segmenti di verifica endoprocedimentale previsti a tutela e garanzia dell’indagato, rammentando che il pubblico ministero è tenuto svolgere indagini innanzitutto in suo favore e che, al cospetto di idonea ed adeguata gravità indiziaria e in assenza di fattiva collaborazione da parte dell’indagato, in presenza altresì di esigenze cautelari di concreto ed attuale pericolo di inquinamento probatorio e di elevata probabililtà della commissione di reati della stessa specie, non può che soddisfare con lo strumento massimo di compromissione della libertà personale quale è la custodia cautelare in carcere”.


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