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Viterbo – Cambiano i tempi e pure i giorni della liberazione. Perché – è la storia del mondo – qualcuno che temporaneamente ci opprime e da cui un giorno o l’altro ci si riesce a liberare c’è sempre. Ieri, vent’anni di fascismo prima applaudito poi impiccato, dopo però che soprattutto americani e alleati ce ne avevano liberato. Oggi, Draghi e i suoi aiutanti che ci rimettono in libertà, per quanto ancora vigilata…anche dal Covid e dalle sue varianti.
Ieri, la bandiera con il verde della speranza, il bianco dell’onestà promessa, il rosso dell’ardimento per costruire il paese nuovo. Oggi, lo stivale quasi interamente tinteggiato in giallo, il colore dell’oriente, della Cina, quell’immenso paese diventato ormai l’officina del mondo dove lavorano h.24 le ricette imparate dall’occidente per produrre i beni e servizi con cui ci invadono. Recapitandoci pure, un anno fa e direttamente dai loro mercati rionali, la peste che va sotto il nome di coronavirus, con seguito di mascherine ed altro per difendercene.
Giallo, dunque, il colore della liberazione di questo lunedì 26 aprile, giallo che si può festeggiare perché ci rifanno uscire in strada, mentre ieri, per il vecchio 25 aprile, solo celebrazioni online.
Ci fosse ancora Bruno Lauzi, il cantautore di quelli della mia età, si sarebbe riconosciuto oggi qualità profetiche, dato che era il 1969 quando cantava “Arrivano i cinesi più gialli dei limoni che metti dentro il tè, mangiano felici le quaglie e le pernici che avevi preso tu, si piazzano in salotto e non se ne vanno più”. La conclusione era (n.b.: la trascriviamo, ma a scanso di equivoci non possiamo provarla) che “arrivano e t’insegnano il saluto con l’alfabeto muto, così non parli più”.
Il cantautore genovese scriveva in pieno boom economico, quando il cielo appariva sempre più blu e Domenico Modugno ci vedeva “volare felici lassù”. Invece, dopo quegli anni ’70, non andò così. Buongiorno e buonasera abbiamo certo potuto dircelo ma, quanto al resto, all’essere liberi davvero, di strada ce n’è da fare.
Infatti, il proletariato non ha vinto; i figli della buona borghesia che pensavano di cancellare i loro padri col terrorismo oggi ne hanno ereditato pregi e difetti; i giudici hanno ripulito un momento il cortile nazionale con Tangentopoli, ma il procuratore Palamara, intercettato dopo aver fatto e disfatto in tribunali e procure, testimonia brutte cose. Beppe Grillo, che col vessillo del vaffa voleva scioglierci dai vincoli dei corrotti sembra essere in confusione. Con i suoi.
E noi, come predicava don Bastiano nel Marchese del Grillo: non essendo né il papa, che si crede il padrone del cielo, né Napoleone che si crede padrone della terra e nemmeno il boia, padrone della morte, restiamo “solo padroni di un c…”.
A pensarci bene, però, la libertà è un percorso senza fine, un work in progress, si direbbe oggi. Una sorta, cioè, di perenni lavori in corso affidati – come diceva l’imperatore Marco Aurelio che proprio il 26 aprile nacque – “a te fragile anima che non sei tiranna né schiava di alcun uomo”.
Renzo Trappolini
