Viterbo – Una corposa ordinanza per usura e tentata estorsione: “250 pagine molto dettagliate”, sottolinea il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri Marcello Egidio. Firmate dal gip del tribunale di Viterbo Savina Poli, ieri hanno portato all’arresto di cinque persone. Ma le indagini non sono concluse. “Potrebbero esserci – afferma il procuratore capo Paolo Auriemma – altre vittime”. Da qui l’appello a denunciare: “Dalla morsa dell’usura e dell’estorsione si esce solo rivolgendosi alle forze dell’ordine – dice Auriemma -. Spesso le vittime provano vergogna e denunciano solo quando la situazione diventa insostenibile. Ma quello dell’usura è un fenomeno pericoloso per tutti, che finisce per insinuarsi nel territorio”.
Ad Auriemma fa eco il comandante del reparto operativo dei carabinieri Guglielmo Trombetta. “Questa sorta di pudore delle vittime, che le porta a non dire tutto, gli crea solo un ulteriore danno. Nel caso specifico le vittime si erano rivolte al gruppo per finanziare alcune iniziative imprenditoriali per le quali si ipotizzavano lauti guadagni”. L’indagine, condotta dal nucleo investigativo dell’Arma di Viterbo e coordinata dal procuratore Auriemma e dal pm Michele Adragna, è scattata a ottobre. “Una imprenditrice nel campo della ristorazione e della vendita di prodotti ittici – ricostruiscono gli inquirenti -, esasperata per le intimidazioni subite, si è rivolta alla procura denunciando di essere vittima, insieme al compagno, di usura e tentativi di estorsione posti in essere da un gruppo di soggetti, italiani e stranieri, residenti tra le province di Viterbo e Terni”.
Cinque gli indagati, tra cui un albanese residente a Terni. Gli altri quattro sono italiani: un uomo e una donna di Viterbo, un uomo di Soriano nel Cimino e un altro di Castel Giorgio (Terni). A tutti viene contestata la tentata estorsione, mentre l’usura solo a quattro. In carcere sono finiti la coppia di viterbesi e l’uomo di Soriano, i due ternani sono invece agli arresti domiciliari. “Si tratta – evidenzia il comandante provinciale dei carabinieri Andrea Antonazzo – di cinque persone pericolose che avevano messo in piedi un sodalizio criminale con ruoli ben definiti ma che in sei mesi siamo riusciti a smantellare, grazie anche al lavoro sinergico con la procura e la prefettura. Noi abbiamo operato con intense e prolungate attività tecniche, che ci hanno permesso di individuare la persona che era al vertice in colui che prestava i soldi”. Il procuratore Auriemma puntualizza che “si tratta di criminali a cui non è contestata l’associazione per delinquere. Alcuni hanno delle attività commerciali e sono già noti alle forze dell’ordine: le vittime sapevano che rivolgendosi a loro avrebbero potuto avere dei soldi in prestito”.
La ricostruzione degli inquirenti: “Da lungo tempo l’imprenditore, compagno della denunciante, per far fronte alle sue gravi difficoltà economiche, derivanti non solo da negative vicende aziendali ma anche da problemi personali, si era rivolto al gruppo. I finanziatori hanno fornito liquidità all’imprenditore pretendendo, in ogni caso, la restituzione delle somme di denaro date in prestito, maggiorate di interessi esorbitanti”. “Fino al 250%”, fa sapere Auriemma. “Per un prestito di 45mila euro – riportano i carabinieri – in sette giorni l’usurato ha dovuto restituire ben 60mila euro. Per un altro prestito di 90mila, invece, nel giro di poche settimane è stata intimata la corresponsione di oltre 230mila euro”.
Le indagini non sono state semplici. “Inizialmente – rimarca Antonazzo – le vittime non si sono rese conto della rete in cui erano finite: credevano di ottenere un vantaggio ma si stavano indebitando, e percepivano questi debiti come un’opportunità di investimento. Per diverso tempo hanno fatto fronte alle richieste usurarie facendo ricorso ad altri prestiti, cadendo così in una strozzante voragine debitoria”. “Un’ulteriore complicazione – aggiunge Trombetta – è stata data dal fatto che gli indagati di volta in volta concordavano degli atti per dare alle loro operazioni una parvenza di liceità”.
Dagli arrestati non sarebbero partite solo richieste di denaro ma anche intimidazioni e aggressioni. “La decisione di rivolgersi alle autorità – rendono noto gli inquirenti – è maturata quando le richieste usurarie sono state accompagnate da gravi intimidazioni, sfociate in minacce di morte o di violenza sessuale nei confronti delle vittime e dei loro familiari, in aggressioni fisiche nel luogo di lavoro e nella sottrazione di una Mercedes. A inizio gennaio siamo riusciti a scongiurare un’aggressione fisica ideato nei confronti delle vittime”.
Quella condotta è stata una “attività – conclude Auriemma – non solo repressiva ma anche preventiva. Un’operazione figlia dell’attuale periodo storico: a causa della pandemia da Covid, gli imprenditori tendono a rivolgersi a questi circuiti criminali finendo in una spirale di usura ed estorsione”.
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