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“Mafia viterbese, a me m’hanno rovinato l’esistenza e la vita…”

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Viterbo – (dan.ca.) – “A me, m’hanno rovinato l’esistenza e la vita”. E’ una delle testimonianze delle vittime della ‘ndrangheta. A Viterbo, raccontata durante la prima delle due puntate di Mappe criminali, l’inchiesta del giornalista Daniele Piervincenzi su Tv8, dedicata all’organizzazione criminale nata in Calabria e diffusasi in tutto il mondo. Una mafia senza confini, questo il titolo della prima. La seconda parte andrà in onda il 25 maggio.


Viterbo - La puntata di Mappe criminali

Viterbo – La puntata di Mappe criminali


A parlare è una testimone di Terni, titolare di un’attività commerciale nel capoluogo. “A me – spiega la signora intervistata – m’hanno rovinato l’esistenza e la vita”. Il riferimento è a “mafia viterbese”, il sodalizio criminale italo-albanese di stampo mafioso sgominato con i tredici arresti del 25 gennaio 2019.


Giuseppe Trovato

Giuseppe Trovato


La puntata di Piervincenzi inizia proprio da qui, da Viterbo. Per poi passare in Calabria e trasferirsi in Liguria, sviluppando e articolando i percorsi che hanno e che caratterizzano tutt’oggi  l’organizzazione ‘ndraghetista.


Viterbo - La puntata di Mappe criminali

Viterbo – La puntata di Mappe criminali


“A settembre – prosegue la signora intervistata – mi hanno dato fuoco alla macchina. Dopo 15 giorni, è toccato alla macchina di mia cognata. Dopo un mese, è stata la volta del mio negozio, con i vetri frantumati e presi a martellate. Con tanto di ceri votivi messi a terra, davanti all’ingresso. Dopodiché, due teste mozzate di animali appese alla serranda. Infine hanno provato a dare fuoco al negozio. E ho chiuso. Giuseppe Trovato mi voleva far chiudere perché voleva dominare il mercato dell’oro”.


Viterbo - La puntata di Mappe criminali

Viterbo – La puntata di Mappe criminali


Ai vertici dell’organizzazione mafia viterbese c’erano il boss albanese 38enne Ismail Rebeshi e il boss Giuseppe Trovato, detto “zio”, 45 anni, d’origine calabrese, di Lamezia Terme in provincia di Catanzaro, anche se da anni residente nel capoluogo della Tuscia, dove tra il 2017 e il 2018, quando il gruppo ha messo la città a ferro e fuoco in un’escalation di violenza mai vista prima, gestiva tre negozi di compro oro, puntando ad avere l’esclusiva nel settore. Come? Scoraggiando la concorrenza con attentati incendiari, vetture bruciate e intimidazioni. 


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