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Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Celebrazioni in onore di Maria Santissima Liberatrice, conclusione del Giubileo. Le celebrazioni in onore della Liberatrice, rappresentano l’evento mariano più importante per i viterbesi , particolarmente quest’anno in cui, con la chiusura della Porta Santa nella chiesa della Trinità, si conclude il Giubileo straordinario indetto da papa Francesco per fare memoria del settimo centenario del culto pubblico verso l’immagine.
A causa della pandemia non si terrà oggi pomeriggio la tradizionale processione per le vie del centro storico della Città dei Papi. L’omaggio del comune, con il discorso del sindaco Giovanni Arena, e il saluto della comunità agostiniana si terranno invece alle ore 18 nel chiostro rinascimentale del complesso conventuale della Trinità.
Seguirà alle ore 18.30 la solenne concelebrazione presieduta da Lino Fumagalli, vescovo diocesano, con la chiusura della Porta Santa e la recita della preghiera alla Liberatrice.
Il servizio d’ordine e di sicurezza verrà assicurato dai volontari del sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dalla Fraternità agostiniana secolare
Il fatto miracoloso del 1320
La processione del Voto del comune e del popolo di Viterbo nacque in seguito ai fatti miracolosi del 1320. Nella notte del 28 maggio di quell’anno, un avvenimento straordinario colpì gli abitanti di Viterbo e li spinse alla chiesa della Trinità a far voti per la loro liberazione dinanzi a una bella immagine della Madonna affrescata nella cappella di S. Anna.
La Processione nello Statuto del 1344
La città di Viterbo e i suoi magistrati resero stabile l’omaggio alla Madonna Liberatrice definendo i dettagli della Processione nello Statuto comunale del 1344. Il testo statutario ordinava che la festa della Madonna si celebrasse ogni anno, con tutte le forme osservate nelle due altre grandi solennità cittadine del Corpus Domini e dell’Assunta, e la data fu fissata al giorno dopo Pentecoste.
Un monito sempre attuale
L’avvenimento straordinario del 1320, nell’interpretazione degli scrittori e deglia artisti, è stato forse arricchito di particolari anche fantastici, ma non è stato alterato nella sostanza. Perché la “sostanza” è sempre la stessa – come tutti noi ben sappiamo – e cioè la condizione dell’uomo di sempre, tentato di chiudersi in se stesso, di pensare all’interesse individuale ovvero di parte che è la causa dei mali che deprimono le relazioni umane e sociali, accelerando la dissoluzione del vivere civile e facilitando la dissoluzione dei popoli.
In una società lacerata da lotte e contese, come è spesso la nostra città terrena – ci sono di ammaestramento i fatti antichi
La vicenda di quel lontano maggio del 1320, pertanto, ci insegna che di fronte al degrado umano e sociale- di cui abbiamo qualche esperienza anche in occasione della pandemia che ci ha colpito duramente, si impone una seria riflessione; anche noi, come i Viterbesi del 1320, siamo invitati a “rientrare in noi stessi” e a meditare una seria conversione, tanto civile quanto religiosa, la conversione al vero bene che è sempre, in ogni circostanza, il bene comune che su un piano più alto, come ci insegna sant’Agostino, è lo stesso Sommo bene, il Dio uno e trino che oggi solennemente celebra la Liturgia della Chiesa cattolica.
Il desiderio e la ricerca del bene comune e della pace cittadina hanno sempre trovato espressione peculiare nelle vicende del culto della Liberatrice. Quando agli inizi del Cinquecento le i lotte e discordie intestine furono sedate, fu proprio un devoto figlio della Liberatrice, Egidio da Viterbo, priore generale dell’Ordine agostiniano e poi cardinale, a sancire il 15 gennaio 1503 il raggiungimento di una pace generale dopo la solenne processione alla Madonna della Trinità alla quale parteciparono tutti i bambini viterbesi, biancovestiti, i nobili, il clero e tutto il popolo.
La pace, la giustizia, la ricerca del bene comune richiamano da vicino il più grande ideale, umano e cristiano, civile e religioso, che sant’Agostino ha ben delineato parlando della Città di Dio e ha sintetizzato in questa espressione: in pluribus unitas. A Dio è gradita l’unità dei molti!
Roberto Saccarello