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Massimo Scapigliati condannato a rifondere l’erario…

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Viterbo  – (sil.co.) – Massimo Scapigliati giustifica il denaro sul suo conto corrente con vincite al casinò, ma viene condannato dalla cassazione a rifondere l’erario.

Scapigliati, allora caposervizio e responsabile per cave e torbiere palazzo dei Priori, fu arrestato nel settembre del 2009 con l’accusa di corruzione e concussione. Le indagini riguardavano tra l’altro l’autorizzazione per una cava. Coinvolti nell’inchiesta Dazio anche due imprenditori di Celleno: Domenico Chiavarino e il figlio Dario, 

Scapigliati ha sostenuto di aver fatto cospicue vincite al casinò ma non gli è bastato per sfuggire al fisco che gli dà dell’evasore, la cassazione ha bocciato il ricorso del professionista viterbese contro l’agenzia delle entrate. 

A suo favore avevano deposto, in primo grado, dei giocatori di poker di Viterbo ed era stata anche prodotta la documentazione circa gli accessi al Casinò di Venezia per dimostrare cospicue vincite di gioco da parte del contribuente.


Massimo Scapigliati

Massimo Scapigliati


Al centro della vicenda una sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 9 aprile 2014, che aveva in parte accolto il ricorso del professionista Massimo Scapigliati avverso due avvisi di accertamento relativi a recupero a tassazione di maggior reddito a fini Irpef, determinato sulla base di redditometro, in relazione agli anni di imposta 2006 e 2007.

Per il giudice di appello, però, “le deposizioni dei giocatori di poker di Viterbo e la documentazione circa gli accessi al casinò di Venezia, prodotte dal contribuente per dimostrare pretese cospicue vincite di gioco, si palesavano del tutto prive di valenza probatoria, in quanto le dichiarazioni erano generiche e sottoscritte da persone non identificate, laddove la documentazione del casinò non dimostrava le asserite vincite”.

“La commissione tributaria regionale – si legge nelle motivazioni pubblicate il 25 maggio dell’ordinanza della quinta sezione civile della corte di cassazione – non ha affatto negato l’ammissibilità della documentazione prodotta dal contribuente (dichiarazioni di terzi e attestazione del Casinò di Venezia), ma ha esaminato nel merito la rilevanza probatoria della documentazione, pervenendo motivatamente a disconoscerla, circostanza con cui il ricorrente, da ultimo con al memoria conclusiva, omette di confrontarsi”.

In conclusione: “La corte rigetta il ricorso e condanna Massimo Scapigliati a rifondere all’agenzia delle entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in euro 5.600, oltre spese prenotate a debito e dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso”. 


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