Viterbo – “Non abbiamo mai accettato il caporalato e non accetteremo mai cose di questo genere”. Danilo Camilli dirige oggi una delle più grandi aziende agricole del territorio viterbese e regionale, affermata a livello nazionale e punto di riferimento della grande distribuzione organizzata. E’ la terza generazione. Prima di Danilo, il padre Gualtiero, che oggi ha 77 anni. La madre si chiama invece Fernanda Capobianchi. Dopo Danilo, che ne ha invece 50, il figlio Gabriele, poco più che ventenne. Gualtiero, che dirige l’azienda con il figlio e lavora alla vendita al Car di Guidonia, ha iniziato più di 50 anni da fa da mezzadro e con un ettaro e mezzo d’orto di sua proprietà. Adesso gestiscono 550 ettari di ortaggi, 150 lavoratori, per la quasi totalità stranieri, e scaricano all’interno di 14 piattaforme nazionali, con puntate, di volta in volta, all’estero.
Il figlio Gabriele è invece esperto di tecnologie. E ha iniziato a lavorare con il padre appena possibile. Un gruppo dirigente strutturato e coeso dove la disciplina è ferrea e la tradizione familiare, che vede al centro la figura del padre, è decisiva, attenta alle innovazioni di ultima generazione e al tempo stesso parte integrante di un processo di profonda trasformazione del mondo rurale in quanto tale. Queste aziende non producono solo ortaggi, ma un mondo nuovo, con nuovi rapporti sociali di forza e produzione, che sta facendo proprie anche le contraddizioni interne al tessuto urbano, sempre meno locale, sempre più metropolitano. Una vera e propria rivoluzione.
Una trasformazione avvenuta, come Camilli stesso ha detto, negli ultimissimi anni e che ha visto modificare radicalmente il modo stesso di produrre e “governare” la terra. In rapporto ad altri soggetti, multinazionali, presenti anch’essi nel panorama delle campagne viterbesi. Da un lato la Gdo, che con il suo modo di interagire con la proprietà ne sta cambiato assetti e prospettive. Dall’altro un bracciantato agricolo che sta vivendo una mutazione per certi aspetti inedita e per certi aspetti anche sorprendente. Una vera e propria ricomposizione sociale che parte dai quartieri urbani, con tutte le contraddizioni che li caratterizzano, e la mattina arriva in azienda dove il bracciante sta diventando sempre più parte integrante nella gestione dei processi produttivi e, in particolar modo, delle nuove tecnologie che li caratterizzano.
Viterbo – L’agronomo Gino Sebastiani, l’imprenditore Danilo Camilli, il figlio Gabriele e il consulente del lavoro Paolo Tozzi
“Adesso stiamo trapiantando meloni e mini angurie – dice Camilli -, e raccogliendo il broccoletto di primavera. Quando lavoro, penso ai miei nonni che avevano un ettaro e mezzo d’orto e a mio padre che faceva il mezzadro. Mio padre è una persona iperattiva, ma lo siamo tutti. Nonostante le problematiche di salute, serie, che abbiamo avuto. Penso anche a quello che ancora oggi mi dice mio padre, quando stiamo in famiglia oppure da soli, per conto nostro, come una volta. E io lo ascolto sempre con piacere. Quando mi dice che un tempo i broccoli si trapiantavano sullo stoppio e quando sullo stoppio si zappava. Quando ad arare erano l’asino e la mucca. Un sistema durato secoli. Adesso lavoriamo con macchine da 420 cavalli, guida satellitare e cabina climatizzata. Siamo passati dalla completa manualità delle sole braccia alle irrigazioni fatte con il computer e le sonde per vedere il grado di umidità nel terreno. E’ cambiato tutto. Completamente. E tutto questo negli ultimi 4-5 anni. Ti rendi conto che evoluzione?”
Un’intervista, quella che segue, all’imprenditore Danilo Camilli, che è anche il racconto di un mondo in movimento. A pochi passi da Viterbo e dalle mura di Porta Faul.
Danilo Camilli, come nasce la sua azienda? Quale è la sua storia?
“Questa che vedi è la terza generazione che fa ortaggi. Mio nonno materno aveva un piccolo podere a mezzadria. Mio padre Gualtiero era un operaio che lavorava all’interno di questo podere e si è spostato con la figlia, mia madre. Poi mio padre ha lavorato con un gruppo di tre cognati che facevano ortaggi. Con loro è andato avanti fino al 1998. Io nel frattempo ho finito i 5 anni di agraria, sono perito agrario, e ho iniziato a fare l’operaio nell’azienda dei miei zii e mio padre. Lì ho fatto un percorso di 7 anni, in società con loro. Poi nel 1998 le famiglie si sono ingrandite e ognuno ha fatto il suo percorso. Partendo tutti da zero con il babbo”.
Come è stato il percorso dall’azienda con i suoi zii fino alla sua?
“E’ stato un percorso lungo, tortuoso e fatto di sacrifici. Ha collaborato anche mia sorella Tiziana. I primi anni in campagna, poi ha avuto un bambino e quando è rientrata è diventata la responsabile della parte amministrativa”.
Come si struttura la sua proprietà?
“Abbiamo 270 ettari di proprietà, ma facciamo 550 ettari di ortaggi qui a Viterbo. Durante il periodo estivo, per completare il comparto delle verdure, delle brassiche ci avvaliamo di tre aziende in collaborazione ad Avezzano. In condizioni climatiche più favorevoli, da Avezzano prendiamo il prodotto grezzo che poi viene rilavorato in azienda per ricollegarci i primi di settembre con il nostro prodotto”.
La sua azienda lavora con la grande distribuzione?
“Sì, serviamo 14 piattaforme nazionali della Gdo, dalla Sicilia alla Lombardia. Durante alcuni mesi dell’anno lavoriamo anche un po’ all’estero. Soprattutto in Germania”.
Viterbo – L’imprenditore agricolo Danilo Camilli
Come avete affrontato l’emergenza Covid?
“La grossa difficoltà che abbiamo riscontrato è stata quella di dover riorganizzare tutto quanto il lavoro. Distanze di sicurezza, mascherine e tutte le condizioni igienico sanitarie all’interno dell’azienda agricola. Cosa che di per sé ha determinato disagi e rallentamenti della produzione. Comunque sia, abbiamo affrontato e messo in opera tutti gli aspetti che richiedeva la normativa e continuato a lavorare”.
Avete riscontrato delle differenze tra il primo e il secondo anno del Covid?
“Tutti i primi mesi dell’anno scorso sono stati mesi importanti perché la gente era tutta in casa, dedicandosi alla cucina. Quanto meno molti di più rispetto alla fase precedente l’inizio dell’emergenza. Dopo i primi due, tre mesi, anche il consumo di ortaggi è ritornato nella normalità. Durante i primi mesi di quest’anno abbiamo invece avuto un calo di fatturato dovuto non tanto al Covid, quanto alle condizioni climatiche e al minor potere d’acquisto del consumatore. Questo ha comportato un calo di fatturato. Tuttavia il 2020 deve essere considerato un anno particolare. Non era mai avvenuto e probabilmente non riaccadrà che tutti gli italiani vengono messi in casa. Comunque nei primi tre mesi del 2021 c’è stata una riduzione dei consumi. Con più produzione e prezzi più bassi”.
Questo cosa ha comportato per l’azienda?
“Un fatturato più basso e un maggior numero di spese. Due danni. Perché avendo più prodotto, hai più trasporti, più imballaggio, più lavorazione, più confezionamento, più stoccaggi”.
Viterbo – L’azienda agricola Camilli
La Gdo è una realtà importante, ma molto esigente…
“Sì, esatto. Noi infatti puntiamo moltissimo sulla qualità, alla quantità e alla continuità del prodotto. Solo con queste tre formule puoi restare collegato alla grande distribuzione. Perché la Gdo vuole un tassello dentro l’azienda agricola che le garantisca la qualità e il servizio. Negli anni su questo ci siamo mossi, accontentando la Gdo e adeguandoci alle richieste. Compresa anche l’ultima certificazione che stiamo completando con l’agronomo Gino Sebastiani. Una certificazione che riguarda ampliamenti di magazzini e ristrutturazioni che stiamo portando avanti da un anno e mezzo. Nel corso del tempo abbiamo acquisito inoltre tutte le certificazioni richieste. Tutto questo per essere al passo con i tempi e le richieste dei clienti”.
C’è concorrenza tra i grandi proprietari terrieri di Viterbo?
“No, non c’è concorrenza. Ci sono invece familiarità, rispetto e amicizia. Sono più di trent’anni che faccio questo lavoro e ci sono stati sempre collaborazione e rispetto. Rispetto e collaborazione tra gli operatori sono caratteristiche della nostra famiglia. Mio padre Gualtiero mi ha sempre detto: ‘se uno ride e l’altro piange, l’incontro dura solo il tempo di una volta. Se invece tutti e due ridono perché c’è collaborazione, il legame si rafforza e permette di avere una spalla, un supporto’. E’ una cosa importante che spesso nel mondo del commercio viene trascurata. Nel commercio non devi fare le scarpe agli altri, ma devi dimostrare chi sei. Con la tua capacità professionale, la tua serietà e la tua qualità. Il nostro lavoro è come quello dei ristoratori. I ristoranti sono tanti. In alcuni si mangia male e in altri bene. Tu devi far parte di quelli dove si mangia bene. Per fare in modo che le persone marino bene, devi spendere. Devi dare un servizio e comprare innanzitutto la qualità, sapendola poi cucinare”.
Quale è il vostro rapporto con la Gdo?
“Devo ringraziare la Gdo perché ha fatto un po’ da mamma all’azienda che dirigo. All’inizio siamo partiti in timidezza, con uno o due articoli. Adesso produciamo circa 10 articoli e scarichiamo in tutte le piattaforme nazionali. Questo è stato un successo e al tempo stesso una conquista da parte dell’azienda. E questo è avvenuto proprio grazie al fatto che abbiamo stabilito fin da subito un rapporto di trasparenza e fiducia con la grande distribuzione”.
Quali sono gli articoli prodotti dall’azienda?
“Ci occupiamo di tutto il comparto brassiche, ossia cavolfiore bianco, broccolo romanesco, broccolo calabrese o siciliano, cappuccio bianco, cappuccio rosso e verza riccia. Queste sono le brassiche che facciamo. Per 12 mesi all’anno. Poi produciamo anche le patate, con un nostro marchio, fatto nel 2001. Il marchio si chiama Surinella, l’antico nome di Viterbo, Surina. Tra ottobre e novembre coltiviamo i finocchi, solo un paio di mesi. Facciamo anche tanti meloni, un’ottantina d’ettari in tutto. Ci siamo inoltre specializzati utilizzando varietà in estate che garantiscono un’elevata qualità della compattezza e del colore”.
Viterbo – I lavoratori dell’azienda agricola Camilli
Una presenza importante all’interno di un’azienda agricola moderna è anche quella dell’agronomo…
“Sì, assolutamente. E’ una figura molto importante. Il nostro agronomo, Gino Sebastiani, è una presenza continua. Collaboriamo da quasi 8 anni, e ha dato una bella accelerata all’azienda portando innovazione, tecnologie, serietà e responsabilità”.
Come sceglie le persone che entrano a far parte del suo staff?
“Ci sono tante persone che vengono per vendere. Tu devi saper scegliere quelle che invece ti sanno consigliare. Vendere è sempre un mordi e fuggi. Consigliare è invece un metterci la faccia. Anche da parte di chi ti consiglia. E questo significa infine coinvolgimento ed essere propositivi e costruttivi. Da qui nasce la spinta, che diventa spinta ed energia per tutta quanta l’azienda. Poi chi dirige deve metterci del suo, innanzitutto tenacia e sacrificio. In azienda facciamo una o due riunioni a settimana. A volte ripeto le cose e sembro noioso. Ma voglio sempre essere chiaro, e avere sempre chiaro chi sta dentro casa. Fare le riunioni è poi fondamentale per coinvolgere il personale nella gestione dell’azienda. Nel bene e nel male. Perché io dico sempre quello che penso e mi piace dirlo in faccia. Non mando mail. Un’azienda è come una sala operatoria. Bravo il dottore che ti ha operato, ma se tutto riesce al meglio è grazie anche al personale che ha collaborato con lui. Un’azienda non è fatta solo da uno o due imprenditori, ma da tutto un comparto che lavora all’interno e al servizio di un intero settore. Il personale è fondamentale. La collaborazione è fondamentale, altrimenti diventa difficile gestire l’azienda e arrivare a dei risultati importanti di continuità”.
Viterbo – L’azienda agricola Camilli
Come è composta la forza lavoro della sua azienda?
“Ci avvaliamo di manovalanza stagionale che ci permette di portare avanti questo lavoro. Arriviamo al massimo a 150, 160 lavoratori stagionali. Sono soprattutto stranieri. Gli italiani sono una ventina. Ci sono ragazzi dell’est Europa e di colore. Alcuni sono già 4, 5 anni che lavorano con noi”.
I contratti di lavoro vengono rispettati?
“Sì. Sono contratti stagionali e vengono tutti rispettati. Si tratta di persone che vengono a lavorare 150-170 giornate e dopo ritornano nei loro paesi d’origine. Durante l’emergenza Covid, prima che ricominciassero i voli, molti di loro sono rimasti bloccati a causa della pandemia”.
Quanto guadagna in media un lavoratore?
“Dipende dalle giornate lavorate e nel pieno rispetto del contratto nazionale di lavoro”.
Come si struttura la manodopera bracciantile che lavora in azienda?
“In genere chi viene a lavorare nella mia azienda rimane. Non abbiamo cambiamenti continui. Se c’è un buon rapporto e c’è rispetto da una parte e dell’altra, la nostra tendenza è quella di far crescere le persone. La quasi totalità degli operai agricoli sono stranieri. Est Europa, Africa e Asia. Ci sono ragazzi che lavorano con il muretto, altri con il trattore. Adesso ho fatto fare ad alcuni di loro un corso per la distribuzione dei fitofarmaci. Ci sono poi operai generici che non hanno la patente e svolgono un lavoro esclusivamente manuale all’interno dell’azienda e della produzione. Poi c’è chi sta al taglio, e sta in azienda, e chi raccoglie nei campi. E spesso io sono lì con loro per terminare gli ordini da inviare in giornata”.
Viterbo – L’azienda agricola Camilli
Che interventi sono stati fatti per garantire la sicurezza dei lavoratori in azienda durante l’emergenza Covid?
“Noi ci avvaliamo di un’azienda esterna che ci ha dato un disciplinare da rispettare. Tutte le mattine forniamo le ffp2 per chi sta in azienda e le mascherine chirurgiche a chi va sul campo. Le cambiamo tutti i giorni. Con un ragazzo che distribuisce le mascherine nuove e un altro che butta quelle vecchie. C’è inoltre un ragazzo che rileva le temperature. Manteniamo i distanziamenti e la Asl ci ha accompagnato con i tamponi. Approfitto anche per ringraziare la Asl di Viterbo che è stata di una serietà e professionalità straordinarie. Abbiamo poi sempre sanificato tutte le zone di lavorazione. Ed ogni mezzo, dal primo all’ultimo, ha una sua bottiglietta per la santificazione. E chiediamo a tutti di pulire il mezzo in ogni sua parte”.
Ci sono stati casi di Covid in azienda?
“La Asl ha fatto 154 tamponi individuando 5 casi asintomatici con 36,2 di temperatura. I lavoratori che avevano preso il Covid sono rimasti a casa per tutto il periodo necessario. E non ci sono stati altri casi”.
Come è stato l’anno di Covid per l’azienda?
“Non è stato un anno. Sono stati tre in uno. Sulla pelle, me ne sono sentiti tre in uno. I prodotti di un’azienda agricola, se non vengono venduti, vanno in deperimento, spigano, marciscono. L’irrigazione non la puoi fare e il campo rischia di essere abbandonato. Questo, di conseguenza, comporta la perdita del cliente. E posso assicurare che per conquistare un cliente ci vuole una vita, e forse non basta. Per perderlo serve a volte soltanto una parola sbagliata o messa male”.
Viterbo – I lavoratori dell’azienda agricola Camilli
Articoli, reportage e inchieste delle forze dell’ordine parlano di caporalato anche per la Tuscia. Riguarda pure la zona di Castel d’Asso?
“No. Qui c’è, parlo per la zona di Viterbo e il comparto ortofrutticolo, c’è gente che lavora con la massima serietà. E le aziende sono una meglio dell’altra”.
Ci sono persone che si sono presentate all’azienda per offrire manodopera bracciantile?
“Sì, si tratta soprattutto di cooperative. Ma noi non ce ne siamo mai avvalsi. Il rapporto con il lavoratore è diretto, avvalendoci di Coldiretti per quanto riguarda la parte burocratica. Se il rapporto con il lavoratore funziona, allora prosegue senza alcun problema e nel pieno rispetto dei contratti. Se non funziona, non va avanti. Fermo restando, ovviamente, Tfr e tutti gli altri diritti che spettano ai lavoratori”.
Cosa ne pensa del caporalato?
“Lo condanno, come è giusto e come penso. La mia azienda ha sempre contrastato queste forme e sempre le contrasterà. Poi, dico anche che il caporalato, a volte, è alla luce del giorno. A volte incontri chi ti propone manodopera anche nelle fiere. Realtà che si offrono come cooperative di lavoratori e ti dicono: ‘ti servono 30 persone per 20, 30 giorni? Ci pensiamo noi’. Noi rispondiamo sempre che la nostra azienda non lavora in questa maniera. Noi lavoriamo con continuità di produzione e abbiamo sempre bisogno di persone. Ma le persone le devi conoscere. Poi il lavoratore fa la sua visita medica, prende le sue scarpe antinfortunistica, il guanto antitaglio e tutto il necessario per lavorare in sicurezza, al campo o alla linea di lavorazione. Non abbiamo mai accettato il caporalato e mai accetteremo cose di questo genere”.
Come si svolge solitamente la giornata di un bracciante in azienda?
“Arriva la mattina e inizia a lavorare dalle 7 alle 9. Poi alle 9 fa un quarto d’ora di colazione. La pausa pranzo è invece tra l’una e le due. Alle tre e mezza il lavoro finisce”.
I lavoratori usano ancora la bicicletta per raggiungere l’azienda?
“I primi anni erano tanti quelli che venivano in bicicletta. Adesso i lavoratori sono quasi tutti motorizzati. E molti hanno la macchina”.
Come è invece la giornata di un imprenditore agricolo?
“D’inverno, la mia giornata inizia la mattina alle 5 e finisce la sera alle 9. D’estate inizia alle 4 e mezza e finisce alle 11 e mezza di notte. La domenica, tutte le domeniche, parto alle 2 e mezza di notte con l’autotreno e vado al mercato del Car, a Guidonia, dove c’è mio padre Gualtiero che si occupa della vendita. Poi a mezzogiorno e mezza rientro a Viterbo, in azienda, e con mio figlio Gabriele carichiamo le macchine dei supermercati che lui ha già preparato. Poi andiamo a pranzo e ci riposiamo. Per riprendere il lavoro il giorno dopo alle 5. La mia giornata di lavoro dalle 14 alle 18 ore al giorno di lavoro. Fisse, tutto l’anno”.
Viterbo – L’azienda agricola Camilli
Come è cambiata in questi anni la manodopera bracciantile in questi anni?
“Negli anni siamo passati da 20 a 150, 160 lavoratori. E già di suo il cambiamento è stato spontaneo. Prima eravamo una famiglia. Tutti i lavoratori stavano con me sul campo. Si scherzava e si faceva colazione insieme. Adesso con 150 persone il rapporto è cambiato. Questo non significa che c’è freddezza. Non c’è proprio il tempo materiale per poter dialogare con tutti. Abbiamo quindi avuto la necessità di suddividere i lavoratori in gruppi, creando un caporeparto per ogni gruppo con cui, durante il giorno, periodicamente ci incontriamo confrontandoci anche su pezzatura, calibro, prodotto e tanto altro ancora. Ogni gruppo porta avanti il suo lavoro. Altrimenti non ce la fai a parlare con 160 persone e al tempo stesso gestire la vendita, parlare con la Gdo, con gli uffici, gli agronomi, mio figlio”.
Che ruolo ha suo figlio Gabriele in azienda?
“Si occupa della parte più meccanica. Per me, mio figlio è stato una spalla, un supporto. E’ la persona che, in collaborazione con l’agronomo, si è preso carico della parte legata all’innovazione, come guide satellitari e sonde. Tanto per fare degli esempi. Avviandosi verso studi di alta tecnologia. Io non ho più tempo né per capire né per provare a studiare queste cose. E ogni anno, la nostra azienda apporta delle innovazioni tecnologiche che servono a facilitare il lavoro, rendendolo più semplice”.
C’è ancora l’alta professionalità del lavoratore in agricoltura?
“No, non c’è più. Il vecchio trattorista che sapeva andare dritto oppure, più semplicemente, l’esperienza stessa della manualità non ci sono più. Ad esempio, la nostra azienda ha sostituito le trapiantatrici manuali con un robot. E l’input per farlo è dovuto al fatto che oggi è difficile trovare lavoratori d’esperienza fin da subito. Inoltre l’esperienza non è altrettanto veloce quanto può esserlo la tecnologia. Sia come tempi di lavoro, sia come sviluppo della stessa”.
La tecnologia sostituisce l’esperienza anche in agricoltura…
“E’ il punto X dell’agricoltura. Dobbiamo sostituire la tecnologia all’esperienza. Trovare persone che, oggi, sappiano utilizzare la tecnologia, a partire dai computer, è facile. Per formare un lavoratore d’esperienza ci vogliono anni. I vecchi cingolati di una volta non esistono più. Adesso le cose vanno avanti con le guide satellitari. Tu devi girare solo lo sterzo. Con il climatizzatore in cabina. Tutto il resto lo fa il computer”.
I lavoratori della sua azienda come si rapportano all’innovazione tecnologica? Non rischiano, alla lunga, di perdere il lavoro?
“I lavoratori sono invece una risorsa incredibile. Ad esempio, una volta cercavamo una persona che sapesse portare il trattore. Alla fine chi avevamo trovato non lo sapeva portare, ma sapeva utilizzare le nuove tecnologie. Ed è stato meglio. Tra i lavoratori ci sono tanti esperti di tecnologie, persone che, magari, si sono laureate proprio in queste cose nei loro paesi di origine. E quando arrivano finiscono subito col gestire macchinari di ultima generazione. Un altro ragazzo ha fatto un corso on line riguardante i fitofarmaci. Ha fatto l’esame e ottenuto il titolo. Un altro, una volta, mancava il trattorista, ha gestito la guida satellitare piantando tutto il giorno. Un bracciante”.
Come sono i rapporti con le organizzazioni sindacali?
“Sono buoni. Per litigare con noi ti devi impegnare, perché lavoriamo sempre in trasparenza. Poi sono convinto che il sindacato lo deve scegliere sempre il dipendente. E’ come l’avvocato. Io devo garantire il lavoro e pagarlo a fine mese”.
Daniele Camilli
Multimedia: Fotogallery: Azienda e lavoratori – Video: Il lavoro in azienda