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“Emanuele Erasmi dentro di sé soffriva per quei soldi non riscossi”

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Mafia viterbese - Udienza a Mammagialla

Il processo si è aperto il 9 marzo 2020 a Mammagialla


Viterbo – Operazione “Erostrato”, slitta al prossimo autunno la discussione prevista questa settimana del processo ai tre imputati Manuel Pecci, Emanuele Erasmi e Ionel Pavel cui viene contestata la “sola” aggravante del metodo mafioso e non il 416 bis. Processo che si è aperto il 9 marzo 2020 a Mammagialla, alla vigilia del lockdown, per consentire la partecipazione in videocollegamento col carcere di Viterbo di Pavel, all’epoca ancora detenuto a Torino, che non poteva essere tradotto per via delle prime misure contro l’emergenza Coronavirus.

 – Metodo mafioso, al rush finale il processo a Pecci, Erasmi e Pavel

Pecci e Erasmi, in particolare, rivolgendosi secondo l’accusa alla banda di mafia viterbese, avrebbero attuato “soluzione creative” per risolvere contenziosi civilistici. Non davanti al giudice, ma davanti al boss che minaccia e incute timore. 

Ieri il processo è giunto a un passo dalla chiusura con l’ascolto dell’ultimo teste della difesa, il padre del falegname 55enne di Bagnaia Emanuele Erasmi. Ma il “fine istruttoria” sarà formalizzato alla prossima udienza, fissata per il 28 ottobre 2021, per dare tempo alle parti di chiedere di integrare il fascicolo processuale, se vorranno, con la produzione di ulteriori documenti. 

Così ha deciso il collegio, presieduto per la prima volta dal giudice Silvia Mattei che, sentito l’ultimo testimone delle parti, ha calendarizzato tre udienze straordinarie per la discussione: il 28 ottobre, il 25 novembre e il 16 dicembre 2021.

Nel frattempo, sempre ieri, il pm della direzione distrettuale antimafia Fabrizio Tucci ha depositato il dispositivo della sentenza d’appello che il 7 giugno ha confernato per 9 imputati su 10 l’aggravante dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. 


Emanuele Erasmi

Emanuele Erasmi


Il padre: “Mio figlio soffriva dentro per quei lavori non pagati”

Il difensore di Emanuele Erasmi, avvocato Giuliano Migliorati, ha rinunciato a sentire l’amico dell’imputato che gli avrebbe presentato il “bodyguard” albanese del giro dei boss Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi per sollecitare un imprenditore “riottoso” del Poggino a saldare un debito, che sarebbe stato impossibile riscuotere per le vie legali. “E’ indagato in procedimento connesso, per cui si sarebbe presumibilmente avvalso della facoltà di non rispondere”, ha spiegato il legale, che ha quindi citato solo il padre dell’imputato, Saturnino Ersami, 78 anni, anche lui artigiano nella falegnameria di famiglia.

“Nel 2014-2015 la ditta del Poggino ci ha commissionato l’arredamento di un ufficio in ristrutturazione a Montefiascone, pattuendo circa 13mila euro. Ci hanno dato un acconto sui 2500 euro, poi è cambiata la compagine societaria e chi è subentrato si è rifiutato di darci il secondo acconto, per cui abbiamo sospeso i lavori. Li abbiamo sbloccati dopo un secondo acconto sui 2mila euro, anche se io, sospettando della persona, perché voleva rimodulare il preventivo riducendolo di qualche migliaio di euro, avevo chiesto di garantire il pagamento dell’intera somma con assegni postdatati”, ha spiegato il padre dell’imputato.

Finiti i lavori, nel 2015, ed emessa una fattura che non c’è stato verso di farsi pagare, nel 2016 il figlio sarebbe ricorso a un legale: “Che ci ha scoraggiati, dicendo che non avevano niente e che sul conto della ditta c’erano 30 euro”.

Un paio di anni dopo, tra il 2017 e il 2018, padre e figlio avrebbero incontrato per caso la parte offesa alla Quercia: “Ci ha fatto una fiera che non finiva mai, ce ne ha dette di tutti i colri e mandati a quel paese. Io mi sono sentito male e da quel momento con mio figlio non ne abbiamo più parlato, ma so che lui dentro di sé soffriva e provava risentimento. E’ una persona perbene, mio figlio, uno che ha famiglia, lavora ed è sulla retta via”.


Giuseppe Trovato

Giuseppe Trovato


Il figlio: “Trovato ha preteso 3mila euro per il disturbo”

Erasmi, secondo l’accusa, avrebbe preso personalmente parte a una “spedizione persuasiva”. Per il padre è stato ‘prelevato’. “Lo hanno ‘preso’ – ha detto – dovevamo andare a Roma con l’architetto per un lavoro, ma mio figlio non rispondeva al telefono, non era da lui”, ha concluso, dicendo di avere saputo dopo l’arresto cosa era successo.

“Cercavo qualcuno che mi accompagnasse al Poggino – ha raccontato Emanuele Erasmi durante il processo – un amico con cui mi ero sfogato mi ha presentato il ‘Riccio’, un albanese ‘tosto’, grande e grosso, che lavorava nell’edilizia e faceva il buttafuori in discoteca. All’appuntamento però si è presentato con Giuseppe Trovato. Al debitore ho detto che erano miei parenti”. 

Era luglio 2018. Fatto sta che il debitore – vistosi piombare in azienda Erasmi coi due “sgherri” – in appena una settimana gli ha liquidato i primi quattromila euro e altri quattromila a settembre. Nell’immediatezza si è recato in questura, ma non si è costituito parte civile al processo.

“Trovato e il Riccio nel frattempo -ha proseguito Erasmi – si sono fatti pressanti, mi cercavamo in continuazione, hanno preteso tremila euro per il disturbo, 1500 euro ciascuno, dopo che al primo incontro il Riccio, cui avevo chiesto quanto volesse, mi aveva risposto che non voleva soldi, che era un piacere a un amico. Ho capito che si trattava di gente pericolosa. Non era quello che volevo, io volevo solo recuperare i miei diecimila euro”. 


Viterbo - Giuliano Migliorati

Giuliano Migliorati


La vitima: “Ho capito l’antifona anche senza minacce”

Al processo è stata sentita anche la vittima. Nell’arco di una decina di giorni, nel mese di luglio del 2018, Trovato, ripreso dalle telecamere della videosorveglianza, si è recato due volte presso la sua azienda del Poggino assieme a un sodale, e una terza anche con l’imputato Erasmi, chiedendo all’imprenditore “con estrema gentilezza” di dare subito al falegname almeno ottomila euro dei diecimila che gli doveva per un lavoro a Montefiascone.

La vittima è corsa immediatamente in questura e poi dai carabinieri che stavano già indagando sulla banda e hanno acquisito i filmati. 

Non sono stato minacciato, ma ho capito l’antifona. Se io voglio dei soldi da qualcuno, vado dall’avvocato, non mando degli sconosciuti a riscuotere. Mi sono insospettito ancora di più quando si sono spacciati per ‘parenti’ di Erasmi”, ha proseguito, negando sulle prime di essersi impaurito, ma ammettendo il clima di paura che si era creato tra i dipendenti e di essersi subito rivolto al suo legale perché trovasse il modo di saldare il falegname. Nel giro di un paio di mesi, in due tranche, Erasmi ha ottenuto i suoi ottomila euro. “Parenti”, come se fossero una “famiglia”. 

Silvana Cortignani

 


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