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“Basette lunghe brizzolate e una scarpa sulla scena del crimine, così si è tradito uno dei banditi”

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Viterbo – (sil.co.) – Rapina al portavalori sulla superstrada, i banditi sono scappati con i soldi ma sul posto hanno lasciato una marea di tracce “biologiche” grazie alle quali, anche se a distanza di anni, sono stati identificati. A partire da una scarpa sinistra, chissà se persa o abbandonata, fino alle inconfondibili basette lunghe brizzolate che rendono tuttora unico il “profilo” di uno degli assalitori. 

Un esempio lampante di “cold case” all’italiana. Per dirla con gli anglosassoni.

E’ la rapina messa a segno il primo febbraio 2016 all’uscita Cinelli della trasversale da quattro banditi armati a bordo di una Bmw rubata attorno alle 16,30 ai danni di un furgone blindato della Securpol diretto a Fiumicino con un carico di oltre un milione di euro in contanti.

Mercoledì davanti al collegio è entrato nel vivo il processo a una delle due guardie giurate complici, secondo l’accusa, di un gruppo di pregiudicati campani, arrestati lo scorso mese di dicembre assieme a un napoletano detenuto a Mammagialla, mentre altri quattro sono rimasti indagati a piede libero. 

Nel corso dell’udienza ha testimoniato il colonnello Marcello Egidio, comandante del nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri, il quale ha ricostruito l’assalto e le successive indagini sfociate nelle tre misure di custodia cautelare scattate a dicembre 2020.


Il portavalori assaltato

Il portavalori assaltato


“Sul portavalori abbiamo trovato la finta bomba con detonatore usata per costringere i due uomini a bordo a scendere dal mezzo. A una distanza di circa due chilometri e mezzo – ha spiegato l’ufficiale – abbiamo rinvenuto la Bmw di colore scuro usata per il colpo, risultata rubata due mesi prima, il 7 dicembre 2015, a Pomezia. A bordo c’erano le armi sottratte alle guardie giurate, una pistola e il fucile a pompa usati dai rapinatori, dei passamontagna  anche delle palette di quelle in uso alle forze dell’ordine. Nei pressi, inoltre, abbiamo rinvenuto i sacchi dove era custodito il denaro, una scarpa sinistra e anche una radiotrasmittente, che ci ha fatto capire che doveva esserci un’altra auto pronta a caricarli, per cui i banditi salivano da quattro a cinque”.


L'assalto al portavalori

La Bmw rubata due mesi prima a Pomezia


Tutto il materiale sequestrato è stato passato al setaccio dagli esperti del Ris di Roma, che ha individuato 22 tracce biologiche, corrispondenti a 6 profili Dna trovando molti match positivi. Grazie alla scarpa e a uno dei passamontagna, in particolare, è stato individuato un profilo A, corrispondente allo stesso rilevato su un mozzicone di sigaretta trovato nel 2006 a Viterbo dove era stata rubata un’auto e riconducibile anche ad altri eventi delittuosi, rimasto ignoto fino a febbraio 2020.

A febbraio 2020 si è scoperto che il profilo di “ignoto A” era corripondente al napoletano detenuto a Mammagialla, traditosi quando è stato intercettato mentre parlava della rapina al portavalori con un “uomo di fiducia” da un telefono cellulare introdotto clandestinamente in carcere.

Apparteneva a lui, Salvatore Centro, la scarpa abbandonata, o persa, sulla scena del crimine. E anche il passamontagna, usato per travisare il volto al momento dell’assalto armato. Un professionista della rapina, che però il primo febbraio 2016 ha commesso almeno due errori. E’ lui il bandito “basettoni” degli identikit dalla guardia giurata e dal centauro (le uniche parti offese, l’altra guardia giurata era complice dei banditi, entrambi costretti a inginocchiarsi per terra con le armi puntate alla tempia durante il colpo).

La sua specialità sarebbero stati i furgoni portavalori e gli uffici postali, ma non avrebbe disdegnato i colpi in abitazione. In azione in Campania, nel Lazio e anche in Toscana.


La bomba utilizzata per il colpo al portavalori

La finta bomba utilizzata per il colpo al portavalori


Gli investigatori hanno subito sospettato la presenza di un basista all’interno dell’istituto di vigilanza a causa del malfunzionamento del sofisticatissimo sistema d’allarme del furgone blindato, tanto più in un giorno in cui era adibito a un trasporto eccezionale di oltre un milione e 33mila euro in contanti. Grazie alle intercettazioni hanno trovato due vigilantes infedeli: la “talpa” Fabio Aglioti, a processo col rito ordinario presso il tribunale di Viterbo, e il “basista” Michele Potenzi che invece ha patteggiato. 

Potenzi, in particolare, dopo la rapina si è licenziato ed è partito per l’Australia. E prima del viaggio ha fatto due bonifici per complessivi settemila euro al “collega”. Ma ci sono voluti quattro anni, fino alla al 2020, per incastrarlo, incrociando i dati di cui nel frattempo erano venuti in possesso gli investigatori, grazie ai quali l’indagine è stata riaperta nel 2019. Decisive le intercettazioni della polizia penitenziaria alle prese con un’indagine per droga e corruzione interna al carcere di Viterbo.

Tra maggio e giugno dell’anno scorso sono stati intercettai tutti gli indagati, compreso l’ex vigilante-talpa Aglioti, tuttora ai domiciliari e per il quale il processo è appena entrato nel vivo. Avrebbe cercato fino all’ultimo di mantenere “vivi” i rapporti con gli ex colleghi, di carpire loro informazioni, secondo l’accusa meditando di mettere a segno altri colpi. 

Il processo riprenderà il 13 ottobre, quando saranno sentiti i testimoni della difesa. 

 

 

 

 

 

 

 


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