Viterbo – “L’esercito italiano nato dalla resistenza non ha nulla a che vedere con i crimini compiuti dal fascismo durante la guerra. Tantissimi militari presero parte alla liberazione del paese e tanti continuarono a servire la repubblica democratica dopo”. A parlare è il presidente dell’Anpi Viterbo Enrico Mezzetti, quasi ottant’anni dopo l’8 settembre 1943 quando l’esercito italiano si dissolse, senza più ordini né comandi, di fronte all’invasione dei nazisti.
“Un rapporto – spiega Mezzetti – quello tra esercito e difesa della democrazia, solido e duraturo. Ultimamente la stessa Anpi Viterbo è stata coinvolta dallo stato maggiore nelle ricerche di materiale utilizzato poi per la mostra al Vittoriano di Roma dedicata ai crimini di nazisti e fascisti nel corso del secondo conflitto mondiale”.
“Ad esempio – prosegue il presidente dell’Anpi – i militari italiani che dal 1943 al 1945 hanno combattuto con i partigiani di Tito contro i nazisti in Montenegro vennero poi inquadrati nell’esercito e inviati a presidiare Viterbo. Dopo la guerra la divisione si trasformò in reggimento Garibaldi, nome che conserverà fino al 1976”. Una storia, questa, raccontata nel libro dello storico della resistenza e del fascismo Eric Gobetti che nel 2018 ha scritto un libro per l’editore Palermo. Il titolo: “La resistenza dimenticata. Partigiani italiani in Montenegro 1943-45”.
Viterbo – Il presidente dell’Anpi Enrico Mezzetti
Dal libro, a pagina 143, salta fuori quanto segue: “A partire dall’8 marzo 1945, gli italiani sopravvissuti a un anno e mezzo di guerra partigiana, vengono caricati su una nave della marina inglese che per qualche giorno fa la spola tra Dubrovnic e Brindisi. Il primo approdo viene accolto dalle autorità locali accompagnate dal sottosegretario Mario Palermo e da Giovanni Battista Auxilia, il primo comandante. La divisione Garibaldi, schierata al completo viene passata in rassegna il 16 marzo da Umberto II di Savoia, luogotenente del regno dopo il recente ritiro del padre Vittorio Emanuele III. Giunti in Italia i garibaldini vengono trasferiti in un campo raccolta vicino a Taranto, dove rimangono in quarantena per circa un mese. E’ l’ennesima delusione per chi, da anni, attende il m0omento di rientrare a casa. D’altronde in Italia la guerra non è ancora finita. Rivestiti con armi e divise inglesi, a metà aprile i reduci del Montenegro vengono inviati come truppe di presidio a Viterbo. Qui arriva la notizia della fine della guerra che fa trasformare la divisione in reggimento Garibaldi, nome che conserverà fino al 1976″.
Quindi, chi ha combattuto con Tito i nazisti in Montenegro finì poi a Viterbo. Un altro tassello che si va ad aggiungere alla storia della resistenza partigiana che ha caratterizzato oppure attraversato la Tuscia negli anni della guerra civile e della seconda guerra mondiale in Italia. Tra queste anche la figura dell’operaio Nello Marignoli che, prima di tornare a Viterbo dal conflitto, dopo l’8 settembre e il collasso dello stato monarchico entrò nell’esercito di liberazione della Jugoslavia, X Brigata Herzegovaska, con la quale prese parte ai fronti di Dubrovnik, Mostar e Sarajevo.
Partigiani
“Molti soldati italiani – sottolinea Mezzetti – entrarono nella resistenza jugoslava facendo innanzitutto una scelta antifascista. Scelta che ha caratterizzato da quel momento in poi, a partire anche da Cefalonia e porta San Paolo a Roma, tutto l’esercito italiano. Quello della repubblica democratica e del reggimento Garibaldi. Quello che non ha nulla a che fare con le stragi dell’esercito regio in Etiopia. La distanza tra l’esercito della repubblica italiana e quello regio è netta. Il primo ha combattuto per la libertà e ha costruito e difeso la democrazia, il secondo no. Finché non è arrivato l’8 settembre e gli ufficiali, come uomini, hanno scelto da che parte stare, scegliendo di resistere a nazisti e fascisti”.
Daniele Camilli