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“Rapina al portavalori, dopo il colpo un vigilante si licenzia e va in Australia”

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Viterbo – Uno era la talpa e l’altro il basista. Sono i due vigilantes infedeli della rapina da oltre un milione di euro al portavalori “Navetta 414 Viterbo” della Securpol, intercettato da quattro banditi a bordo di una Bmw rubata attorno alle 16,30 del primo febbraio 2016 all’uscita Cinelli della superstrada, mentre era diretto a Fiumicino.

Michele Potenzi – il primo ad essere incastrato, nel giugno 2019, dagli investigatori coordinati dal pm Stefano D’Arma – è uscito di scena patteggiando, mentre è entrato nel vivo ieri, con la testimonianza del comandante del nucleo investigativo dei carabinieri colonnello Marcello Egidio, il processo col rito ordinario all’imputato Fabio Aglioti.

Nei mesi successivi, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, uno avrebbe speso il doppio di quanto guadagnava: 42mila euro a fronte di entrate pari a circa 23mila euro l’anno. L’altro, invece, dopo il colpo, si sarebbe licenziato e sarebbe partito per l’Australia. 

Ascoltati tutti i testi dell’accusa, il prossimo 13 ottobre toccherà ai testimoni della difesa. 


Il portavalori assaltato

Il portavalori assaltato


L’imputato ex vigilante ai domiciliari da dicembre

Aglioti è l’ex guardia giurata 50enne di Civitavecchia ai domiciliari dallo scorso mese di dicembre quando, a distanza di quasi cinque anni dalla rapina, grazie alle intercettazioni e al Dna rilevato sull’auto abbandonata durante la fuga, è stato raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare assieme a un altro dei presunti complici, il pregiudicato campano Salvatore Centro, 52 anni, di San Giuseppe Vesuviano, un professionista della rapina, già detenuto a Mammagialla.


In ginocchio guardia giurata e centauro di passaggio

Potenzi era uno dei due vigilantes costretti dai banditi, armati di pistole e di un fucile a pompa, a scendere dal furgone blindato, sul cui parabrezza avevano posizionato una finto ordigno. E’ stato lui, il complice, a consegnare il bottino ai tre rapinatori col passamontagna mentre il quarto aspettava in auto.

L’altra guardia giurata era l’autista, parte civile al processo con l’avvocato Roberto Alabiso, costretto a inginocchiarsi con un’arma puntata alla tempia. Stessa sorte è toccata a un centauro di passaggio, bloccato, fatto inginocchiare e obbligato a gettare via la chiave della moto per non mettere a rischio l’assalto.  


Malfunzionamento sospetto del sistema d’allarme

“Abbiamo subito sospettato che ci fosse una talpa interna all’istituto, a causa del malfunzionamento del sofisticatissimo sistema d’allarme che avrebbe dovuto garantire la sicurezza passiva del portavalori oltre che per l’assalto, guarda caso, a un trasporto eccezionale da oltre un milione di euro in contanti più titoli di credito”, ha spiegato il colonnello Egidio.


L'assalto al portavalori

La Bmw rubata usata dai banditi per l’assalto


Individuati dal Ris 6 profili Dna

Sul posto, oltre ad altri reperti, sono stati rinvenuti un passamontagna e una scarpa sinistra che si sarebbero poi rivelati decisivi per la risoluzione del caso.

“Il Ris ha individuato 22 tracce biologiche, corrispondenti a 6 profili Dna trovando molti match positivi. Grazie alla scarpa e a uno dei passamontagna, in particolare, abbiamo individuato un profilo A, corrispondente allo stesso individuato su un mozzicone di sigaretta trovato nel 2006 a Viterbo dove era stata rubata un’auto e riconducibile anche ad altri eventi delittuosi, rimasto ignoto fino a febbraio 2020”.


Settemila euro al complice e poi via in Australia

Dopo il colpo, Potenzi avrebbe dato a Aglioti 7mila euro. I carabinieri, che non hanno mai rinunciato a investigare, ascoltando le intercettazioni hanno notato la strettissima amicizia, “oltre la colleganza”, tra i vigilantes Aglioti e Potenzi, che dopo la rapina ha lasciato il lavoro ed è andato in Australia.  

Non solo. Potenzi, prima di partire per l’Australia, ha anche fatto due bonifici da 2500 e 4500 euro a Aglioti, col dire che erano per una moto d’epoca e un’auto che gli aveva venduto. “Ma non abbiamo trovato riscontri di compravendite, né alla motorizzazione, né altrove”, ha spiegato il comandante Egidio. 

Messo alle strette, Potenzi ha confessato a giugno di due anni fa e piano piano il velo si è squarciato.


La bomba utilizzata per il colpo al portavalori

La finta bomba utilizzata per il colpo al portavalori


Scoperto a Mammagialla “Ignoto A”

La chiave di volta che ha incastrato il detenuto Centro e altri quattro pregiudicati d’origine campana, indagati a piede libero, sono state le intercettazioni a Mammagialla nell’ambito di un’inchiesta interna della polizia penitenziaria su spaccio e corruzione all’interno del carcere.

“Venne fuori che Centro era riuscito a far entrare un telefonino per comunicare con l’esterno. Il 25 ottobre 2019, intercettato, è stato captato mentre col suo uomo di fiducia parlava di Aglioti, nel frattempo licenziato, dicendogli che bisognava tenerlo buono per i suoi contatti con gli ex colleghi in vista di futuri colpi”, ha spiegato Egidio. A quel punto è bastato confrontare il Dna di Centro con quello di ignoto A per fare centro.


La talpa ai colleghi: “Pensiamo al futuro”

“Non c’è dubbio che Aglioti fosse la talpa. Aveva anche messo a punto un preciso modus operandi. Era lui quello che telefonava a colleghi ed ex colleghi, anche dopo il licenziamento, dicendo loro ‘dobbiamo pensare al futuro’, in cerca di appuntamenti a quattr’occhi allo scopo di carpire dai vigilantes informazioni utili ai suoi scopi”. 

Silvana Cortignani


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