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Migliaia di fatti in poche parole, quante bastano…

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Giulio Andreotti, Attilio Jozzelli e Renzo Trappolini

Giulio Andreotti, Attilio Jozzelli e Renzo Trappolini

Viterbo - 1991 - Giulio Andreotti e François Mitterrand

Viterbo – 1991 – Giulio Andreotti e François Mitterrand


Viterbo – Prima che Serena e Stefano Andreotti riordinassero e pubblicassero I Diari paterni – con il secondo volume che sarà presentato dal direttore Galeotti e l’intervento di Nando Gigli, giovedì prossimo a Viterbo, per iniziativa di Caffeina e dei Pirati della Bellezza – il padre, prudente, aveva già provveduto autonomamente e Rizzoli ne aveva raccolto in quattordici libri gli appunti giornalieri dal settembre 1945 fino alle deposizioni rese al Tribunale di Palermo.

Eventi ed impressioni della vita pubblica nazionale ed internazionale di cui è stato longevo e primario attore, insieme a fatti della vita quotidiana di romano, di marito e padre. Oltre che per testimoniare e non far dimenticare, la “prima idea di farne libri gli venne in chiave difensiva per controbattere stravolgimenti e polemiche ora grezze, ora sottili”. Comunque, a futura memoria per chi, in quasi settant’anni di vita pubblica, lo aveva voluto accusare “di tutto, tranne che delle guerre puniche” sol perché nel 264 avanti Cristo non era ancora nato.

D’altronde, il suo approccio pragmatico e refrattario alle retoriche non ne aiutava il consenso del politically correct spesso così lontano dalla saggezza del buonsenso che aveva maturato nella visione eterna della storia cui era stato formato da cardinali e papi. Uno stile, compreso quello per le usuali battute fulminanti, che gli guadagnò epiteti di cinico e perfino di Belzebub, il capo dei diavoli, cui lo assimilava Bettino Craxi.

Andreotti lo sapeva ed in argomento era vaccinato da sempre, così che quando il suo maestro, il padre della patria Alcide De Gasperi, disse un giorno alla moglie che in vecchiaia il marito sarebbe diventato più maligno, lui annotò “la presi come una lode, perché voleva dire che pensava che a trenta anni non lo fossi ancora molto”.

Aveva peraltro imparato presto a vedere e chiamare le cose per come effettivamente sono se a otto anni, al robusto signore che dopo avergli pestato un piede in tram si era giustificato dicendo di essere un mutilato, osservò: “Se tutti i mutilati passassero sui miei piedi, sarei rovinato”.

Da grande, scriveva di sapere di non essere un Vatusso “ma se mi giro intorno non vedo giganti” e che anche gli uomini all’apparenza più tutti d’un pezzo potevano sbagliare. Come l’ufficiale medico che all’spedale militare del Celio gli aveva pronosticato sei mesi di vita. “Così, quando divenni ministro della difesa cercai questo maggiore Ricci, ma era morto”.

Buon senso manifestato il più delle volte con battute sdrammatizzanti, come quando, mandato da De Gasperi ad offrire la candidatura a presidente della Repubblica a Luigi Einaudi, il quale per camminare doveva appoggiarsi ad un bastone, lo rassicurò “Oggi, senatore, anche le riviste militari si passano a cavallo di una Jeep” e la risposta, annota nel Diario, fu convincente.

Di Roma e dei romani, poi, incarnava il disincanto (“non attribuiamo i guai della capitale all’eccesso di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro”), condito dalla esperienza antica appresa nei piani supremi della curia di là dal Tevere, che ne faceva un affidabile tramite per i grandi del mondo. Il presidente sovietico Podgorny, ad esempio, gli domandò un giorno “se poteva porgli un quesito riservato. Temetti volesse parlare della Nato, invece voleva sapere se in udienza dal papa, dal quale stava per andare, si poteva fumare. Trasmisi il desiderio e seppi che sulla scrivania del pontefice Podgorny trovò un portacenere”. La lunga frequentazione di monsignori, cardinali e papi gli aveva consentito una tale conoscenza dell’ambiente da poter dire “Santità, lei non conosce il Vaticano” a un Giovanni XXIII che gli annunciava come“immediato” un provvedimento su una certa faccenda. “In effetti il decreto relativo venne molto dopo, a metà del pontificato del successore Paolo VI”.

Quando, peraltro, lo accompagnava in chiesa, “De Gasperi parlava con Dio e Andreotti col prete” ironizzava Indro Montanelli, che incontrava spesso annotandolo sul Diario. Rivedendolo il 19 giugno 1977, dopo che – erano gli anni di piombo – il giornalista era stato gambizzato dalle BR, scrisse “Che fusto!, zoppicante ma completamente rimesso”. Quanto ai preti, comunque, non gli sfuggì “un laicista arrabbiato che non sopportava di avvicinarli, salvo nei periodi elettorali”.

Insomma, i Diari sembrano un ricchissimo archivio di testimonianze su persone e fatti, indispensabile per comprendere la storia nazionale e del mondo contemporaneo, ma anche una miniera di aneddoti e giudizi utili per capire come proprio il mondo va, in alto ed in basso della scala sociale e politica, degli individui e delle nazioni.

Tutto scritto in uno stile che “eviti al lettore prolissità e noia, reputando saggio non dire in mille parole quello che si può in dieci” e senza alcun intento predicatorio “convinto – come chiosato in un appunto intitolato Nota di vita – che quando qualcuno viene a chiedermi consiglio si attende che gli suggerisca quel che già pensa di fare. Se così non è, rimane regolarmente del suo parere e si comporta conseguentemente”.

C’est la vie! Anche per chi ha fatto ed è nella storia.

Renzo Trappolini


Appuntamento il 7 ottobre alle ore 18. I diari degli anni di Piombo di Giulio Andreotti. Partecipano Stefano e Serena Andreotti. Interviene Rodolfo Gigli e modera Carlo Galeotti, direttore di Tusciaweb. Sala conferenze Unindustria a Valle Faul, Viterbo.


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