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Mafia viterbese, parlano le donne dei fratelli Rebeshi: “Ismail non dava ordini dal carcere”

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Il blitz del 28 novembre 2019 in cui è stato arrestato David Rebeshi (nel riquadro il fratello Ismail)

Mafia viterbese – Il blitz in cui è stato catturato David Rebeshi (nel riquadro il boss Ismail)


Viterbo – Commercianti minacciati di morte e ricattati, è ripreso ieri con la testimonianza delle compagne il processo per estorsione con modalità mafiose ai fratelli albanesi Ismail e David Rebeshi, 38 e 32 anni, presenti in videocollegamento dalle carceri di Cuneo e Vicenza davanti al collegio presieduto dal giudice Elisabetta Massini.

Al centro dell’interrogatorio delle connazionali degli imputati, chiesto dal difensore Roberto Afeltra e proseguito con il contro esame del pm antimafia Fabrizio Tucci, le vicende dell’AutoRiga di Ismail Rebeshi dopo l’arresto del boss per droga il 27 novembre 2019 e per mafia viterbese il 25 gennaio 2019. 

Si è parlato in particolare della sorte delle auto rottamate per 9mila euro da una delle due vittime, titolare a sua volta di un autosalone, che però non avrebbe versato neanche un centesimo alla “famiglia” Rebeshi. E della vicenda del famoso suv venduto a Ismail da un commercialista tramite l’altra vittima, il ristoratore che si è costituito parte civile. Il boss di mafia viterbese non sarebbe mai riuscito a entrare in possesso del veicolo, nonostante lo abbia pagato e fatto anche il passaggio di proprietà, perché trattenuto dal meccanico del Poggino cui il commercialista lo aveva portato per un problema al cambio senza pagargli i 2500 euro della riparazione.

Entrambe le donne detto di non avere “mai ricevuto ordini dal carcere relativamente alla gestione da parte di Ismail”, che sarebbe stato invece “in contatto tramite mail col fratello David”, il quale si sarebbe occupato della prosecuzione dell’attività.


Roberto Afeltra

L’avvocato Roberto Afeltra


Nel 2019 l’AutoRiga, mentre Ismail era già in carcere e il fratello ancora ai domiciliari, avrebbe avuto per amministratore un sudamericano, subentrato alla fidanzata albanese del boss, una 33enne che, finché non è stato chiuso, avrebbe anche lavorato due sere a settimana al night club di via della Palazzina del compagno, facendo contemporaneamente la barista a Attigliano di giorno e trovandosi, dopo l’arresto del 38enne, anche un altro lavoro in un locale di Abbadia San Salvatore. 

All’epoca, per l’appunto, il fratello e coimputato David era ai domiciliari per droga, a fine pena è stato espulso dall’Italia, ma a ferragosto è rientrato utilizzando il cognome della moglie, facendosi beccare a Belcolle dove era andato a trovare la compagna che aveva appena partorito. Inviato al centro per il rimpatrio di Bari, David ha quindi ottenuto in breve di poter restare in Italia con la famiglia. 

Tra luglio e agosto le compagne dei Rebeshi, tra cui la moglie a fine gravidanza di David, sarebbero state presenti nel piazzale sulla Cassia Nord preso in affitto per l’esposizione delle macchine dell’AutoRiga, ma “solo nel caso fosse venuto qualche cliente”.

Sarebbe stato David, a luglio, a dire che i veicoli andavano spostati altrove, presso un terreno a Tuscania indicato dalla parte offesa titolare di un autosalone, per risparmiare sull’affitto.

David, che in quelle settimane era stato rispedito in Albania, avrebbe scoperto che i mezzi erano stati rottamati solo al rientro in Italia, ad agosto per il parto della moglie, “riuscendo a recuperare solo un furgone e due auto”.

Tornato libero di muoversi sul suolo nazionale dopo il breve periodo a Bari, sempre David si sarebbe occupato anche del suv. Il ristoratore, secondo quanto riferito dalla cognata, che avrebbe parlato una sola volta col commercialista, si sarebbe limitato con lei a prendere tempo, l’ultima volta a agosto, promettendo una soluzione. 


Il pm Fabrizio Tucci

Il pm Fabrizio Tucci


Ieri la fase istruttoria avrebbe dovuto chiudersi con l’ascolto delle due donne, ma il difensore Roberto Afeltra, a sorpresa, tre giorni fa ha citato altri tre testi, i tre complici albanesi arrestati con David Rebeshi a Tuscania il 29 novembre 2019, condannati il 28 ottobre in appello a otto anni e 4 mesi in appello, un anno in meno rispetto al primo grado, che fu celebrato davanti al gup del tribunale di Roma in quanto hanno scelto l’abbreviato.

Il collegio ha però dovuto rinviare al prossimo 11 marzo l’audizione dei tre, in quanto il 31enne Must Lleshi, il 23enne FIavio Hysa e il 24enne Alban Kacorri non parlano italiano e hanno bisogno di un interprete.

Lleshi e Kakorrri, inoltre, detenuti nel carcere di Voghera, cinque giorni fa hanno deciso di associare al difensore italiano Samuele De Santis un’avvocata di lingua albanese, la quale non ha avuto tempo di organizzarsi per il videocollegamento, per il quale i suoi neo assistiti hanno chiesto, oltre a un interprete, anche  la presenza in carcere della legale. Non è detto, peraltro, che i tre non decidano di avvalersi della facoltà di non rispondere.

L’avvocato De Santis,dal canto suo, non si capisce a causa di quale disguido, avrebbe saputo solo il giorno prima, informalmente, dell’udienza di ieri, nonché dell’affiancamento della legale in lingua albanese.

Ergo, bisogna aspettare marzo per la chiusura della fase istruttoria e fissare una o più date per la discussione. 

Silvana Cortignani

 


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