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Viterbo – Certe tragedie ispirano un silenzio costernato. Di fronte all’ingiustizia dell’assassinio, della morte prematura, lo sgomento prevale su ogni possibile analisi, perché sembra di ridurre a “dato” una storia di intimità, di sofferenze, di “persone”. Ma poi, se il tuo mestiere è quello di interpretare le dinamiche della convivenza umana, ti senti spinto quasi inesorabilmente a fornire un contributo di idee, una interpretazione, anche a rischio di essere, se non banale, ripetitivo.
C’è una crisi della famiglia. Dove il termine “crisi” non va inteso necessariamente come “degrado”, ma come “mutamento dei principi e delle condizioni”. Questo mutamento è epocale, perché la famiglia, nei precedenti quaranta secoli della società umana, era la riproduzione di una condizione gerarchica diffusa, con una precisa distinzione di ruoli e di prerogative. Una famiglia sostanzialmente patriarcale, cioè maschilista.
La parità di genere oggi sconvolge punti di riferimento, e soprattutto privilegi, del maschio. Il maschio ha sempre avuto il diritto di avere una “terza vita”, oltre a lavoro e famiglia: quello dello svago al di fuori della famiglia, che si trattasse di gozzoviglia, di sport, di politica, di sesso. Oggi, come al tempo dell’Impero Romano o dei patriarchi ebrei. La donna? Angelo del focolare. O, meglio, reclusa del focolare. A fare figli, a educare figli, a cucinare e rassettare, a riunirsi, ma sempre sotto il tetto di casa, con altre donne del focolare.
Poi le cose sono cambiate, totalmente. Con una progressione che, iniziata cento anni fa, negli ultimi tempi ha corso a velocità crescente. La donna si è “emancipata” da certi doveri e da certe condizioni che stavano diventando onerosi, frustranti, degradanti alla luce dei principi di uguaglianza, giustizia, dignità che concrescevano con la modernità.
L’uomo, che ormai si sentiva quasi a livello genetico depositario di una posizione esclusiva, ha reagito. Male. Soprattutto se la famiglia già conosceva i problemi della convivenza, della sopravvivenza, dell’integrazione. Il cambiamento è stato vissuto dal maschio in modo psicologicamente traumatico. Poi, è chiaro, in molti casi se ne è fatto una ragione. Ma non sarà male tener conto che negli ultimi anni sono cresciuti a dismisura le crisi familiari, le separazioni, i divorzi, gli stessi matrimoni civili, più facili da sciogliere, o le semplici convivenze, che non prevedono legami formali. Segno che la concezione stessa della coppia, della famiglia, dei rapporti interpersonali di genere stanno cambiando. Non è questione se in meglio o in peggio: il punto è che la famiglia patriarcale, la famiglia tradizionale, apparentemente tanto equilibrata ma fortemente condizionata sul piano gerarchico, non è più rappresentativa della realtà sociale odierna, fondata su principi di distribuzione dei ruoli e di forme egualitarie differenti dai precedenti. E la transizione può non essere indolore.
La destabilizzazione dei rapporti familiari, soprattutto per il maschio che sta perdendo le sue prerogative e le sue sicurezze di padre e padrone, talvolta scatena reazioni irrazionali, pulsioni violente che possono essere scaricate su tutti i membri della famiglia. Certo, ci sono famiglie che continuano a fondarsi sulla dedizione reciproca dei coniugi in un clima paritario e che possono durare una vita; la fine della famiglia tradizionale non è strutturalmente inevitabile, ma è una eventualità che, in questo periodo di transizione che in taluni casi crea disorientamento, si può verificare frequentemente.
Potrei finirla qui. Ma c’è ancora un punto su cui mi soffermerò rapidamente. Sebbene i femminicidi e le tragedie familiari si verifichino in ogni ceto sociale, alcuni valori fortemente tradizionalisti, una certa marginalità sociale e culturale, assieme a problemi economici e conseguenti forme di alienazione psicosociale, sono gli ingredienti che portano sovente ad una miscela micidiale di disperazione e di violenza.
Esaminate certi dati statistici, rileggetevi le cronache degli ultimi episodi, e vedrete anche voi che alcune condizioni socioculturali e socioeconomiche ricorrono troppo spesso per essere casuali. E questo, ci rende tutti responsabili in solido nell’impegno a migliorare la complessiva qualità della vita nel nostro Paese.
Francesco Mattioli