Viterbo – Imprenditori vittime di estorsione e usura, arriva la prima condanna.
Ha patteggiato ieri un anno e 8 mesi uno dei dei fratelli di Soriano nel Cimino tra i sette componenti della banda sgominata dai carabinieri al termine dell’inchiesta della procura della repubblica di Viterbo sfociata in cinque arresti e due indagati a piede libero lo scorso 26 aprile.
Intercettate in piena emergenza Covid le presunte vittime, una coppia di imprenditori viterbesi, titolari di un ristorante e di una pescheria, difesi dagli avvocati Giovanni Labate e Enrico Valentini. Ricorsi agli strozzini a causa delle difficoltà economiche inasprite dalla pandemia, sono stati costretti a entrare in società con gli usurai.
Davanti al gip uno dei due fratelli pregiudicati originari di Soriano nel Cimino, difesi dall’avvocato Domenico Gorziglia, ricorso per il 51enne, al rito che consente lo sconto di un terzo della pena.
L’uomo, cui veniva contestata la tentata estorsione e non l’estorsione consumata, a differenza del fratello, se l’è così cavata con una condanna a un anno e 8 mesi di reclusione.
Restano in attesa di giudizio il fratello 43enne e la cognata, mentre un altro parente è indagato a piede libero.
Il pm Michele Adragna
Saranno giudicati col rito ordinario, dopo che il tribunale ha accolto la richiesta di giudizio abbreviato del pubblico ministero Michele Adragna, il fratello 43enne e la cognata, per i quali il processo si aprirà il 15 dicembre davanti al collegio.
Oltre alla coppia, saranno seduti sul banco degli imputati anche gli altri due uomini arrestati la scorsa primavera: un albanese di 28 anni residente a Terni e un italiano 48enne di Castel Giorgio, difesi dagli avvocati Fabio Menichetti e Maria Cristina Pepe. Ci sono poi altri due soggetti indagati a piede libero: un altro albanese e un italiano imparentato coi due fratelli.
“Violentiamo tua moglie e mettiamo tua figlia sulla sedia a rotelle”. Gli imputati per recuperare le somme avrebbero utilizzato prima le minacce poi le maniere forti. Per intimidire le vittime avrebbero promesso loro di dare fuoco al ristorante. Si sarebbero appropriati di una vettura. Avrebbero picchiato il ristoratore nei pressi del suo locale. Sarebbero arrivati anche a minacce di violenza sessuale e altri mali fisici, nei confronti della moglie e della figlia.
Al processo saranno parte civile con gli avvocati Giovanni Labate e Enrico Valentini.
L’avvocato di parte civile Enrico Valentini
L’odissea della coppia sarebbe cominciata subito dopo il primo lockdown, con due prestiti da 45mila e 89.500 euro, per un totale di 134.500 euro, in cambio dei quali avrebbero dovuto restituirne quasi 300mila, più del doppio.
Tra l’estate e la fine del 2020, il fratello 43enne e la compagna avrebbero preteso dalle vittime – con la complicità dell’albanese e dell’orvietano – la restituzione nel giro di una settimana della somma di 60mila euro in contanti in cambio di un prestito di 45mila euro al ristoratore per lo svoglimento della sua attività imprenditoriale.
A settembre dell’anno scorso, inoltre, avrebbero prestato al ristoratore altri 89.500 euro, “capitale” da restituire entro ottobre, contabilizzando 234mila euro complessivi con gli interessi e la garanzia di quote societarie del ristorante. nonché pretendendo 30mila euro in contanti dopo pochi giorni quale anticipo sugli interessi e contestualmente l’impegno a versarne altri 30mila a breve.
La coppia, versati i primi 30mila euro, si sarebbe trovata presto in difficoltà, riuscendo a versarne solo 23.500 della seconda “rata” da 30mila: 11mila euro tramite tre bonifici e il resto in contanti, per un ammontare di 500 euro al giorno dal 19 settembre 2020, più altri 2.500 euro ogni 15 giorni. Da quel momento sono iniziati i ricatti e le minacce, culminati nella sottrazione della macchina e il pestaggio dell’imprenditore nei pressi del suo locale.
Silvana Cortignani
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