Viterbo – “Lockdown come i domiciliari”, viterbesi si rivolgono a Mattarella.
Ci sono anche tre cittadini di Ronciglione, Valentano e a Acquapendente tra i firmatari di un ricorso straordinario al presidente della Repubblica contro le restrizioni anti-Covid, le prime sperimentate tra marzo e aprile 2020.
Quarantuno persone, residenti in tutta Italia, hanno deciso di impugnare dpcm e provvedimenti correlati, a partire da quello con cui, l’8 marzo, l’Italia intera diventava zona rossa e passava al lockdown.
Motivo: hanno “visto limitate e/o impedite le libertà fondamentali sancite dalla Costituzione e dai trattati internazionali in materia di diritti dell’uomo”. Così è scritto nel loro ricorso contro la presidenza del Consiglio dei ministri, che secondo il parere del Consiglio di Stato è inammissibile. Sono i magistrati amministrativi, infatti, a emettere pareri vincolanti in base ai quali la presidenza della Repubblica decide con decreto (con poche probabilità che si muova diversamente dal Consiglio di Stato).
A rappresentarli l’avvocato Alessandro Fusillo, già protagonista del deposito, davanti alla Corte costituzionale, di un altro ricorso sempre sulla validità dei dpcm, avanzato per conto di Vittorio Sgarbi. Provvedimenti “viziati per eccesso di potere”, secondo Fusillo e i 41 italiani da lui assistiti, dei quali si chiedeva l’annullamento e un risarcimento di mille euro ciascuno.
Cifra simbolica, si specifica nelle carte, perché “il danno subito dai ricorrenti in dipendenza degli arresti domiciliari loro inflitti è manifesto e irreparabile”, sottolineando che “nel diritto penale la privazione della libertà personale mediante la reclusione in carcere o gli arresti domiciliari è la pena più grave”. Un “sacrificio pressoché totale della libertà” a loro dire non giustificato.
La presidenza del Consiglio, chiamata in causa, ha chiesto il parere dei supremi giudici amministrativi, che hanno concluso che il ricorso è inammissibile per tre motivi.
Uno è di tempistica: “gli atti impugnati hanno tutti cessato di avere efficacia”, scrive il giudice Paolo Carpentieri, che ha esaminato la documentazione. Un altro riguarda il modo in cui i ricorrenti si presentano, cioè come “cittadini italiani”, “ma questo titolo – fanno notare dal Consiglio di Stato – non vale a fondare e a dimostrare la titolarità di un interesse legittimo”. Fa piuttosto riferimento “al rispetto della legalità in generale, che deve essere fatto valere in sede politica, non in sede giurisdizionale”.
Infine smontato quello che i tre viterbesi, insieme agli altri cittadini italiani, ritenevano essere un “danno manifesto e irreparabile”. “I ricorrenti – concludono i giudici – non dimostrano in concreto nessuna lesione personale”. Dunque il Consiglio di Stato “esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile”.
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